“Il Tribunale di Catania ha annullato le delibere del fondo di solidarieta’ per i reati mafiosi con cui, in assenza di sentenza definitiva di liquidazione del danno, si revocava parzialmente l’erogazione di quanto corrisposto con la provvisionale, e allo stesso tempo condanna il ministero dell’Interno a rifondere le spese legali”.
E’ quanto comunica l’avvocato Giuseppe Nicosia.
“La vicenda fa riferimento alla ‘Strage di Vittori’ del gennaio 1999; un eccidio di stampo mafioso nel quale furono uccise cinque persone. Alcuni dei familiari delle vittime avevano ottenuto, in sede penale, la condanna degli autori al pagamento di una consistente provvisionale, ottenendo anche l’erogazione del Fondo di solidarieta’ istituito presso il ministero dell’Interno. All’esito del giudizio civile di primo grado, avviato per la quantificazione del risarcimento del danno, per alcuni parenti il giudice civile aveva ritenuto eccessiva la somma disposta con la provvisionale penale e aveva statuito una condanna in misura ridotta.
La sentenza era stata appellata perche’ ritenuta errata ed ingiusta. Nelle more dell’appello, il fondo di solidarieta’ aveva emanato delibere di revoca parziale di quanto precedentemente erogato ed avviato il recupero delle somme presuntivamente versate in eccedenza. Avverso tali provvedimenti, il nostro studio legale di Giuseppe Nicosia in rappresentanza delle vittime, ha proposto ricorso avanti il Tribunale di Catania che ha accolto le tesi difensive ed annullato le delibere ministeriali impugnate, nonostante la difesa dell’avvocatura generale dello stato.
La legge dispone la possibilita’ di revoca o riforma dei precedenti provvedimenti quando le decisioni penali o civili di risarcimento siano definite in sede di impugnativa, ergo quando siano divenute definitive. L’operato del ministero, in pendenza del giudizio di appello, e’ stato quindi ritenuto come illegittimo e non ragionevole anche in relazione alla ratio della legge”.
Ne avevamo scritto tempo fa, Giuliano ha cercato in tutti i modi di infiltrarsi nella macchina amministrativa e non solo (LEGGI ARTICOLO).
Quell’articolo c’era costato, da parte del mafioso Salvatore Giuliano, minacce pesantissime.
E siamo solo all’inizio della liberazione per Pachino da chi delinque…
IL COMUNICATO DELLA POLIZIA
Salvatore Giuliano
Nella giornata di ieri, personale di Polizia Giudiziaria della Squadra Mobile di Siracusa e del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Pachino, al termine di una complessa ed articolata attività investigativa, supportata da intercettazioni telefoniche ed ambientali, coordinata dalla Procura di Siracusa nella persona del sostituto procuratore Antonio Nicastro, ha notificato avvisi conclusioni indagini nei riguardi delle seguenti persone, per il reato di concussione in concorso Salvatore Giuliano, di Pachino (classe 1962), già noto alle forze di polizia, Salvatore Spataro di Pachino (classe 1959), ex assessore allo Sport, Turismo e Spettacolo del Comune di Pachino e consigliere comunale in carica, Paolo Bonaiuto, di Pachino (classe 1959), ex sindaco del comune di Pachino, Massimo Agricola (classe 1971), residente a Pachino, consigliere comunale in carica del Comune di Pachino.
In particolare, Bonaiuto, all’epoca sindaco del comune di Pachino, Agricola in qualità di consigliere comunale, Giuliano e Spataro nelle vesti di intermediari, costringevano un imprenditore, titolare di una ditta aggiudicataria del servizio di Noleggio service per la manifestazione dell’agosto pachinese 2012 per l’importo di 30.250 a versare una tangente pari a 10.000 euro sotto la minaccia della mancata emissione del mandato di pagamento.
Spataro aveva commissionato il lavoro quando era in carica come assessore al Comune di Pachino, pretendendo la somma di 10.000 euro quale tangente per lo spettacolo dell’agosto pachinese del 2012, somma che era stata pretesa anche dal sindaco Bonaiuto e dal consigliere Agricola, al fine di deliberare il mandato di pagamento per le opere prestate a Pachino in occasione dell’estate 2012 ed estromettendo così Spataro e Giuliano, in quanto Spataro non ricopriva più alcuna carica in seno al consiglio comunale. La somma, per metà importo, era stata intascata da Bonaiuto e Agricola, mentre altri cinquemila euro erano stati incassati da Spataro, che li aveva divisi con Giuliano.
I servizi tecnici di intercettazione, sviluppati nel corso della stessa indagine hanno, inoltre, consentito di acquisire importanti ed ineludibili elementi di responsabilità in ordine ad una attività di spaccio di sostanze stupefacenti, a carico dei seguenti soggetti, indagati per detenzione e cessione continuata di sostanza stupefacente (cocaina, Hhashish e marijuana. Oltre a Giuliano e Spataro sono coinvolti pure Massimo Vizzini, (classe 1973), residente a Pachino, già noto alle forze di polizia. Maria Parisio, di Pachino (classe 1968), già nota alle forze di polizia. Sebastiano Meli, di Pachino (classe 1965), già noto alle forze di polizia. Salvatore Fabio Alessandro Palermo, di Catania (classe 1985), già noto alle forze di polizia. Salvatore Cannavò, di Catania ( classe 1964), già noto alle forze di polizia.
Gli indagati, in concorso tra loro, con più condotte esecutive del medesimo disegno criminoso, illecitamente detenevano e cedevano a terzi sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish, marijuana dal dicembre 2013 al febbraio 2014. L’attività investigativa ha evidenziato anzitutto le condotte illecite poste in essere da Giuliano e Spataro: i due indagati, infatti, in forza dello spessore criminale di Giuliano e dei molteplici contatti che questi vantava nel mondo delinquenziale della vicina città di Catania, hanno acquisito la disponibilità di considerevoli quantitativi di cocaina e marijuana, poi immessi sul mercato di Pachino e dei comuni limitrofi.
Giuliano, in particolare, prestava particolare attenzione al coinvolgimento nello spaccio al minuto, al fine di non attirare le attenzioni delle Forze di Polizia. Parimenti, sono emersi inequivocabili elementi di responsabilità a carico un ulteriore gruppo di soggetti, anch’esso attivo nel settore dell’approvvigionamento e dello spaccio di droga.
In tale contesto si è evidenziata la figura di Meli, anello di congiunzione con l’hinterland catanese e che per conto sia di Cannavò detto “Giovanni cicala”, (catanese) che di Palermo e Fabio inteso “Toro seduto” (catanese), ha provveduto ad effettuare consegne di droga e a riscuotere il denaro della vendita dello stupefacente da Vizzini, pachinese e della convivente di quest’ultimo Parisio.
Le responsabilità del gruppo di soggetti sono state comprovate, oltre che dalle attività tecniche, anche dall’arresto in flagranza di reato di alcuni suoi componenti, (Meli nel gennaio 2014 e Vizzini nell’aprile 2014) trovati in possesso di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti e dal conseguente sequestro di droga (18 grammi di cocaina e 2 kg di marijuana) da parte degli agenti della Polizia di Stato,Squadra Mobile e Commissariato di Pachino (“definiti nel linguaggio criptico criminale come “teste di lametta”).
Le intercettazioni hanno fatto trasparire un rapporto tra gli indagati duraturo e consolidato nel tempo, basato sulla reciproca fiducia, ed avente come fine precipuo il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti (denominate nel linguaggio criminale a volte “cassette di roba” altre come “mortadella” o “datterino” mentre le sostanze per tagliare la droga denominate “medicinale per i sorci”, “Pillole per lo stomaco”), tra Catania-Pachino-Portopalo di Capo Passero, con un profitto di migliaia di euro.
Nei riguardi dei soggetti indagati, era stata inizialmente richiesta ordinanza di custodia cautelare in carcere. Tuttavia, stante il lasso di tempo trascorso, venute meno le esigenze cautelari, si è proceduto alla sola notifica degli avvisi conclusione indagini.
Dalla scorta a Giovanni Falcone alla mafia, fino al pentimento.
Ha deciso di collaborare con la giustizia un ex poliziotto diventato un affiliato ed esponente di spicco della mafia di Bagheria.
Si tratta di Pasquale Di Salvo, 53 anni, arrestato nel dicembre scorso, accusato da un altro pentito, Salvatore Sollima, che di lui aveva detto: “Faceva la scorta a Falcone e Borsellino, era stato l’autista”, riferendo poi degli interessi di Di Salvo nel settore dei rifiuti a Bagheria. Interessi maturati all’ombra di Cosa nostra e confermati anche da altri due pentiti, Sergio Flamia e Antonino Zarcone.
Una escalation di minacce, percosse, lesioni ed in poche parole atti persecutori sono quelli messi in atto da Solarino Alessio, 30enne ragusano, pregiudicato e sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, che non ha accettato la separazione dalla compagna, giovane donna che gli aveva dato due figli e che per incompatibilità caratteriali aveva deciso di terminare la loro relazione.
Non si è mai rassegnato il Solarino alla fine di quell’amore e, da gennaio 2016, in più occasioni ha pedinato la donna, l’ha raggiunta a casa e l’ha ingiuriata con i più svariati epiteti sino a picchiarla perché si rifiutava di ricominciare una relazione con lui. Qualche mese di respiro alla donna è stato concesso da febbraio a luglio poiché il Solarino è stato detenuto in carcere per un furto perpetrato proprio a casa della donna, ma appena tornato in libertà l’ossessione per la madre dei suoi figli ha ripreso il sopravvento.
Non è bastata la decisione del Tribunale di Minori di autorizzare gli incontri tra padre e figli solo in presenza degli assistenti sociali ed il Solarino ha continuato con i suoi comportamenti molesti, le chiamate ed i messaggi sino ad arrivare a picchiare per l’ennesima volta la donna e a strappargli di mano il cellulare per evitare che potesse chiedere aiuto.
Dopo quest’ultimo episodio, avvenuto una settimana fa, la donna ed i bambini, attraverso i servizi sociali del Comune di Ragusa, sono stati collocati in una struttura protetta, mentre l’uomo è stato denunciato per l’ennesima volta dalla Stazione di Ragusa Ibla che ha richiesto l’emissione di una misura cautelare adeguata a contenerne il comportamento.
Il Gip Claudio Maggioni, concordando con quanto richiesto dalla Dott. ssa Monica Monego, titolare dell’indagine, ha emesso nella giornata di ieri una misura di custodia cautelare in carcere che i militari della Stazione di Ibla hanno immediatamente eseguito.
La misura arriva a due giorni dalla giornata mondiale contro la violenza sulle donne, a ricordare che per le vittime di violenza ci può essere sempre la speranza di una nuova vita.
Maxi sequestro di cannabis nelle campagne di Acate: ben 4500 kg! Gli uomini della Polizia di Stato dei Commissariati di Vittoria e Niscemi hanno rinvenuto in contrada Dirillo, all’interno di un vasto appezzamento di terreno, un impianto serricolo di oltre 5000 mq all’interno del quale era coltivata della cannabis indica ossia della marijuana di varietà K17 e K18 più comunemente conosciuta come “Skunk”, una pianta creata attraverso incroci tra preesistenti varietà di cannabis e che si caratterizza per l’ottima resa in principio attivo (alto tasso di THC, delta-9-tetraidrocannabinolo) e l’odore particolarmente pungente, oggi tra le varietà maggiormente diffuse nel mercato illecito di questo stupefacente. Si è accertato che la coltivazione era condotta mediante le più aggiornate tecniche agronomiche; le piante disposte in filari regolari erano parzialmente occultate o meglio, si cercava di confonderle attraverso l’impianto, nelle stesse serre, di due filari di piante di pomodoro prospicienti i lati perimetrali, in tal modo cercando di dissimularle a queste all’esterno.
E’ stato sorpreso, intento a vigilare la “coltivazione” un vittoriese, RUBINO Giovanni, di 57 anni con precedenti penali per reati in materia di armi, contro il patrimonio e la persona. Si è accertato che l’uomo aveva stipulato un contratto di affitto registrato all’Agenzia delle Entrate di Vittoria dell’azienda agricola in questione, che è di proprietà di soggetti niscemesi, allo stato risultati estranei alla vicenda.
All’interno delle serre sono state rinvenute più di 7200 piante coltivate da circa due mesi e prossime alla raccolta perché già sviluppate, con rigogliose infiorescenze e quindi con il massimo contenuto di principio attivo. Il peso medio di ciascuna pianta è stato misurato in 650 grammi; pertanto si stima una quantità di marijuana verde del peso di circa quattro tonnellate e mezzo che una volta essiccata ne avrebbe prodotto 1500 chilogrammi circa da commercializzare. Tutta l’azienda era “controllata” mediante un moderno sistema di videosorveglianza che tuttavia non ha impedito ai Poliziotti di sorprendere RUBINO intento nella coltivazione. E’ possibile sostenere che dallo stupefacente rinvenuto sono ricavabili più di un milione e cinquecentomila “canne”, che al dettaglio avrebbero potuto fruttare oltre 1 milione di Euro.
Il S. Procuratore della Repubblica dr. Francesco RICCIO della Procura di Ragusa è stato immediatamente informato circa l’evolversi delle indagini ed ha disposto che RUBINO Giovanni, arrestato in flagranza di reato per coltivazione di sostanza stupefacente aggravato dalla ingente quantità venisse condotto presso la casa Circondariale di Ragusa. L’appezzamento di terreno e le coltivazioni illecite sono state poste in sequestro. I conseguenti sopralluoghi di Polizia Scientifica ausiliati da specialisti di settore hanno determinato il campionamento delle piante per il successivo invio ai laboratori di Igiene e Profilassi dell’ASP 7 di Ragusa, per le analisi quantitative e qualitative.
Beni per 200.000 euro sono stati sequestrati dalla Polizia di Stato a Gaetano Ciaramitaro, 47 anni, boss palermitano del quartiere della Marinella.
Sigilli all’attivita’ di commercializzazione di carne di via Emilio Salgari, formalmente intestata al figlio. Il 23 giugno 2014 era stato arrestato nell’operazione antimafia “Apocalisse”, per associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti. Era emerso come Ciaramitaro fosse a capo della cosca della Marinella e della gestione delle estorsioni e dei proventi.
Partecipava a incontri e riunioni con altri membri dell’organizzazione mafiosa, in particolare con Vito Galatolo del rione dell’Acquasanta, con Onofrio Terracchio e Paolo Lo Iacono del clan di Pallavicino-Zen.
Con il figlio Antonino, anche lui tratto in arresto nella stessa operazione, ha, inoltre coordinato il traffico di droga nel suo quartiere: per questi fatti il 13 aprile e’ stato condannato a 10 anni. L’indagine e’ stata condotta dagli investigatori della Sezione Patrimoniale dell’Ufficio misure di Prevenzione.
Erano agli arresti domiciliari, ma armati e in grado di gestire, e’ il fondato sospetto, il racket delle estorsioni.
Arrestati due pregiudicati gelesi, gia’ coinvolti nell’operazione ‘Falco’ contro il clan Emmanuello. A casa di uno degli arrestati, Orazio Tosto, sequestrati, soldi, carte di credito, rilevatori di microspie e una pistola, nonche’ un foglio di carta A4 contenente una lista di nomi con a fianco delle cifre, del quale aveva tentato di disfarsi, strappandolo e gettandolo dal balcone prima dell’arrivo degli agenti. Una sorta di rudimentale ‘libro mastro’ L’elenco e’ ora al vaglio degli inquirenti.
La Squadra mobile di Caltanissetta e il commissariato di Gela hanno fatto scattare le manette ai polsi del 23enne e di Angelo Famao, 28 anni, a domiciliari da giugno, quando assieme ad altre 14 persone erano stati tratti in arresto nel blitz che ha permesso agli investigatori di arrestare il nuovo reggente di Cosa nostra di Gela Gianluca Pellegrino.
I due viaggiavano a bordo di una Smart e alla vista degli agenti erano fuggiti; fermati dopo un breve inseguimento, avevano riferito di trovarsi fuori dalla propria abitazione poiche’ dovevano partecipare ad un funerale. A seguito di quell’episodio il Pm ha avanzato richiesta di aggravamento della misura cautelare al Gip. I due arrestati sono stati condotti nel carcere di Gela.
Le Fiamme Gialle del Nucleo di Polizia Tributaria di Ragusa hanno sequestrato oltre 70.000 prodotti made in China, fra giocattoli privi del marchio “CE” e materiale elettrico (tra cui luminarie, alberelli e presepi luminosi) con il marchio di fabbrica contraffatto per un valore complessivo di circa 300.000 euro. Il materiale elettrico è stato sottoposto a sequestro penale e il titolare dell’esercizio commerciale è stato deferito alla locale Procura della Repubblica per frode in commercio.
I giocattoli, costituiti da pupazzetti di peluche, emoticons, palline contenenti liquidi pericolosi, fionde con freccia luminosa e girandole, sono stati importati in Italia e venduti come decorazioni per giardini o ornamenti vari, al fine di non dover rispettare i requisiti previsti per legge. Talvolta i giocattoli destinati ai più piccoli possono disperdere frammenti che, qualora ingeriti dai bambini, possono determinare il grave rischio di soffocamento. Pertanto, è necessario prestare grande attenzione quando si acquista questo genere di prodotti.
È consigliabile acquistare esclusivamente da negozi fidati e controllare l’etichetta, che deve essere completa delle informazioni relative al produttore, nonché delle istruzioni d’uso in italiano. È necessario, infine, cercare i prodotti che riportano i marchi di qualità, anche se questi, a volte, vengono abilmente contraffatti: “CE” (approvazione europea), “IMQ” (indicazione di qualità del prodotto) e il marchio specifico “Giocattoli Sicuri” (attribuito dall’Istituto Italiano Sicurezza Giocattoli). I giocattoli, senza le prescritte certificazioni di sicurezza, sono stati sottoposti a sequestro amministrativo e il titolare, che è stato segnalato alla Camera di Commercio di Ragusa per violazioni al D.Lgs. 54/11, sarà soggetto alla sanzione pecuniaria che va da 1.500 a 10.000 euro.
“La trattativa? Ne parlai con Ciancimino”. “Il papello? Lui mi disse di averlo consegnato al capitano De Donno”. Torna a parlare Pino Lipari, l’ex ministro dei lavori pubblici di Bernardo Provenzano, che oggi ha rotto quel silenzio dietro a cui, nel giugno 2010, si era trincerato, avvalendosi della facoltà di non rispondere, al processo Mori-Obinu. Il geometra, consigliere politico dei corleonesi e gestore della cassa dei grandi appalti, sostanzialmente ha confermato quanto già aveva riferito nel 2002 all’allora Procuratore capo di Palermo, Piero Grasso. Una collaborazione con la giustizia in embrione, che fu bollata dall’attuale Presidente del Senato come “non attendibile”. Oggi però, non avendo più procedimenti pendenti, ha risposto alle domande del pm Nino Di Matteo (presente in aula assieme al procuratore aggiunto Vittorio Teresi, e ai sostituti Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia) confermando che in quei verbali riferiva quelle che erano sue “conoscenze reali”, “secondo verità”. Dichiarazioni che di fatto vanno a riscontare diverse dichiarazioni di altri testimoni già sentiti nel corso del processo. A cominciare da Ciancimino jr che, come ha ricordato oggi il teste, era presente in casa quando c’erano gli incontri tra il padre e gli allora latitanti Totò Riina e Bernardo Provenzano. “Ricordo che quello che apriva la porta era l’avvocato, Roberto – ha detto Lipari – Se sapevano chi fosse Provenzano? Da quello che so io sì. Di Riina non so dirlo. Ma Riina e Provenzano non si incontravano mai insieme con Ciancimino”.
Ciancimino e il papello
Dopo una prima serie di domande introduttive il pm Di Matteo è andato subito al cuore della deposizione di Lipari. Come aveva fatto negli interrogatori del 2002, e come aveva ribadito nel 2009 quando venne riconvocato in Procura, il geometra ha sostenuto anche oggi di aver incontrato Vito Ciancimino a Roma, all’hotel Plaza, dopo le stragi. Sarebbe è in quell’occasione che l’ex sindaco di Palermo gli avrebbe raccontato degli incontri con gli ufficiali dell’arma Mario Mori e Giuseppe De Donno. “Io già avevo parlato con Provenzano e lui mi diede una versione diversa. Ciancimino mi disse: ‘io volevo un appuntamento col primario, col Riina, un incontro, e tu non me lo hai dato, che non avevi la strada quindi mi hai depistato e siccome non potevo parlare con il suo aiuto (aiuto inteso Provenzano, ndr) pensò al medico di Riina, Cinà, a cui prospettò tutta la situazione”. Durante l’esame non sono mancate le contestazioni da parte del pm con il teste che via via ha confermato quanto dichiarato in passato ovvero che “Mori e De Donno avrebbero incontrato il Ciancimino, credo nel ‘92, a Roma, per intraprendere una trattativa, De Donno avrebbe chiesto, o Mori, non so, ‘ma che cosa vuonno chisti, che cos’è?’, era successo il… la strage di Falcone, quindi siamo subito… nelle immediate… dopo qualche 15 giorni, 20 giorni, un mese, non so…”.
L’inizio di quei colloqui tra i due ufficiali del Ros e Don Vito viene collocato da Lipari dopo la strage di Capaci ma prima di quella di via D’Amelio. “Ciancimino, nel dicembre 1992, mi disse che aveva parlato con De Donno e Mori. Mi disse che Mori aveva chiesto cosa volesse Cosa nostra perché le stragi li avevano confusi. Mi disse che l’incontro che c’era stato portava ad una trattativa, chiamiamola così, una richiesta. Anche se io non ci ho mai creduto”.
Il geometra, oggi ultraottantenne, ha confermato anche di aver appreso certi contenuti delle richieste prospettate nell’immediatezza da Ciancimino, l’aggiustamento dei processi, il 41 bis, il sequestro dei beni.
La seconda via
Lipari ha spiegato poi quella che è stata la “seconda via” scelta da Ciancimino, ovvero il contatto con il dottore Cinà: “Ciancimino non lo riteneva all’altezza. Lo aveva raggiunto sempre tramite i suoi figli. Lui andò a casa di Ciancimino e quando questi inizia a prospettargli la cosa lo stoppa ha provato a dire che era una cosa troppo grossa ma Ciancimino insiste che deve parlare con Riina e che se lui non lo fa si assume una grande responsabilità, perché è una cosa seria e si devono dare risposte a Mori. Anche Cinà mi parlò di questo discorso. Quando uscì da casa di Ciancimino lui si sentì persino pedinato. Fece avere comunque il discorso a Riina ma non so per quale canale”.
Spiegando il motivo per cui non si mosse in prima persona il teste ha ricordato in particolare un episodio in cui Riina, fuori di sé dopo un colloquio avuto con l’ex sindaco mafioso, lo prese per la collottola e gli disse che qualora avesse chiesto un appuntamento in futuro con Ciancimino avrebbe ammazzato prima lo stesso Lipari e poi don Vito. “Quando mia moglie mi riferì la richiesta di Ciancimino ricordai questo e mi chiamai fuori” ha detto oggi in aula.
Tornando ai rapporti tra i corleonesi e l’ex sindaco mafioso Lipari ha ricordato quanto fosse diverso quello che aveva Bernardo Provenzano. Lipari infatti ha descritto quest’ultimo come una persona “plagiata” da Ciancimino al punto che “se gli avesse detto di buttarsi dal quinto piano lo avrebbe fatto”.Eppure, ha ricordato, “Ciancimino non si poteva toccare, proprio perché così si sarebbe toccata la sensibilità di Provenzano”. Parlando della conoscenza con il boss, oggi deceduto, Lipari ha ricordato che questa risale già agli anni Settanta. Quindi ha parlato di una lunga serie di incontri avuti con il padrino fino al 2000. Tra questi ha anche ricordato un incontro, a Mezzojuso, nel 1996.
Cinà e il papello
Tornando a parlare della consegna del papello il teste ha raccontato quanto gli fu riferito dallo stesso Cinà. “Ebbe questo papello e lo mise in una busta chiusa – ha ricordato – Quindi lo mise in una cassetta della posta a casa di Ciancimino. Lui non era salito perché non aveva trovato posto per parcheggiare la macchina. Ciancimino non lo aveva ritenuto all’altezza del grande compito che aveva perché lui non voleva farlo”. E quando Di Matteo ha ricordato che nel 2002 aveva riferito anche di aver saputo della consegna anche dallo stesso Ciancimino Lipari ha risposto: “Può darsi ma io ho il ricordo visivo dell’incontro con Cinà”. Alla domanda su cosa ci fosse scritto in quella busta, Lipari ha dichiarato che Ciancimino gli disse “che vi era una richiesta eccessiva. La chiamava papello. Se lo consegnò a qualcuno? Mi pare di sì non ho il ricordo preciso ma mi pare che il documento non se l’è conservato in cassaforte”. Dopo una nuova contestazione del pm ha poi confermato che quella busta venne consegnata da Ciancimino a De Donno. Se così fosse si troverebbe una risposta alla considerazione del giudice Petruzzella, scritta nella sentenza Mannino per cui a Ciancimino jr viene contestato di aver fornito il papello “solo in fotocopia senza dare di ciò alcuna motivazione plausibile, posto che la circostanza che si trovasse in cassaforte all’estero non avrebbe impedito la consegna dell’originale”.Come avrebbe potuto consegnare il documento originale se l’originale sarebbe stato consegnato ad altri?
Nel prosieguo del processo Lipari ha anche parlato delle ragioni che portarono alla morte il politico Salvo Lima, ed anche quei tentativi fatti da Cosa nostra per non arrivare ad una sentenza di condanna definitiva all’ergastolo con il maxiprocesso.
Solo un lamento della mamma che si stringe a un’amica: “Mi hanno tolto la vita, l’hanno ammazzata, cosi’ senza motivo”. Poi viene chiamata dal marito, “Sarina ci stanno chiamando, iniziamo”.
Fiaccolata per Pamela Canzonieri, la 39enne uccisa in Brasile. Oggi e’ stato fermato il presunto assassino. Luci nella notte di Ragusa: familiari, amici, persone che hanno voluto manifestare il proprio sostegno, si sono dati appuntamento in piazza Tamanaco, dietro lo striscione “Nessuno muore sulla terra finche’ vive nel cuore di chi resta. Giustizia per Pamela”.
Il corteo si e’ poi diretto verso via Toscana, dove si trova l’abitazione della famiglia della donna. Stretto il cordone di parenti e amici a protezione della famiglia che non vuole parlare. La sorella Valeria si chiude nel silenzio. Cinquecento persone, forse piu’. La mamma di un’amica di Pamela la ricorda come “solare, sempre col sorriso.
Lei il Brasile lo amava, non voleva tornare, aveva invitato anche gli amici a raggiungerla”. Una delle amiche, colei che ha organizzato la fiaccolata, chiede silenzio: “Non sappiamo nulla”. Un altro striscione e’ quasi un urlo: “La violenza ha distrutto cio’ che volevi difendere, la tua dignita’, la tua liberta’, la tua vita”.
Fiaccolata a Ragusa, la mamma “Grazie con tutto il cuore”
Il corteo silenzioso si ferma davanti alla casa di famiglia in via Toscana 24. Una lunga preghiera sommessa e poi un applauso.
I genitori e la sorella di Pamela Canzonieri brutalmente uccisa in Brasile, si fanno strada tra le ali protettive dei tanti amici che hanno partecipato alla fiaccolata.
La mamma si ferma un secondo alla porta del cancello del cortile esterno del piccolo condominio: “Io vorrei ringraziare tutti, ma in questo momento siamo distrutti, poi ne parleremo con calma”, dice la donna stretta nel suo dolore. Dopo qualche minuto si aprono le porte del balcone di casa: viene appeso lo striscione.
La mamma nuovamente si affaccia, “grazie, grazie con tutto il cuore” e applaude gli amici che non hanno mai abbandonato sua figlia. Nessuna notizia sull’arrivo della salma di Pamela Canzonieri a Ragusa.
I controlli preventivi della Polizia di Stato attuati mediante il capillare pattugliamento del territorio urbano e periferico della città di Vittoria consente sempre di ottenere risultati positivi per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Le Volanti della Polizia hanno infatti notato in una strada senza sbocco, sita nella zona periferica di Vittoria, un’autovettura in sosta davanti al cancello di un’abitazione, con a bordo due individui che alla vista degli Agenti avviavano il veicolo e partivano velocemente tentando di far perdere le loro tracce. Ne scaturiva un inseguimento del mezzo in fuga al quale più volte veniva intimato l’alt polizia che i fuggitivi disattendevano, imboccando la provinciale per Pedalino ad altissima velocità noncuranti delle condizioni meteo avverse. Nonostante ciò gli Agenti riuscivano a bloccare l’auto ma solo dopo aver percorso oltre 10 chilometri e giungendo alle porte del centro di Pedalino.
Conducente e passeggero venivano fatti uscire dall’auto e identificati.
Si tratta di due soggetti residenti a Palagonia dei quali, il conducente incensurato ed il passeggero, sprovvisto di documenti e che inizialmente dichiarava dati anagrafici falsi, pluripregiudicato per reati contro il patrimonio, in materia di stupefacenti, sottoposto alla misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza con l’obbligo di soggiorno nel comune di Palagonia e con segnalazioni per numerose inosservanze alle prescrizioni della misura di prevenzione cui è sottoposto.
Si tratta di PASTORE Salvatore, 41enne catanese, residente a Palagonia.
In considerazione della misura di prevenzione cui è sottoposto e considerato che è stato trovato in territorio di Vittoria, privo di autorizzazione, è stato arrestato in ossequio alle disposizioni impartite dal Codice Antimafia e condotto in carcere a Ragusa.
Ha pure accumulato una denuncia per il reato di false dichiarazioni circa la propria identità personale ed assieme al complice M.A.M. di Palagonia per il fatto di non essersi fermati all’alt polizia intimato dagli agenti e per la pericolosa fuga intrapresa per le strade urbane ed extraurbane, recando un concreto pericolo per l’incolumità pubblica, anche la denuncia per resistenza a Pubblici Ufficiali.
Ieri sera, i Carabinieri del Nucleo Radiomobile della Compagnia di Modica hanno eseguito uno specifico servizio antidroga sul territorio di Scicli, in particolare nei pressi dei luoghi maggiormente frequentati e punto di ritrovo di giovani.
Nel corso del servizio di contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti, i Carabinieri hanno arrestato un 37enne, Ben Haj Mohamed Adnan, tunisino, già noto alle forze dell’ordine, sorpreso con diverse dosi di hashish e soldi in contanti.
Il giovane, infatti, è stato notato dai militari dell’Arma mentre camminava a piedi in una stradina del centro di Scicli e si è poi soffermato su una panchina in uno slargo, spesso punto di ritrovo di molti giovani, tenendo un atteggiamento sospetto, in particolare, alla vista della pattuglia, cercava di defilarsi per evitare un eventuale controllo.
Dopo averlo seguito nei movimenti, gli uomini dell’Arma hanno fatto scattare il blitz ed hanno fermato lo straniero.
Il giovane, quindi, è stato sottoposto a perquisizione personale ed è stato trovato in possesso di una stecchetta di hashish del peso di circa 1 grammo e la somma in contanti di 25 euro, nascosti nella tasca dei jeans.
A questo punto, i Carabinieri hanno effettuato una perquisizione nell’abitazione dell’uomo ed hanno rinvenuto, all’interno di un borsone nascosto sotto il letto, un sacchetto di plastica contenente circa 50 grammi di hashish, una decina di stecchette della medesima sostanza del peso di circa 5 grammi ciascuna e la somma in contanti di 75 euro, verosimilmente provento dell’attività di spaccio.
Lo straniero, dunque, è stato condotto in caserma e dichiarato in stato di arresto per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti e, al termine delle formalità di rito, su disposizione del Sostituto Procuratore di turno, dott. Francesco Riccio, è stato sottoposto agli arresti domiciliari presso la propria abitazione.
Intanto, i Carabinieri hanno sequestrato i soldi provento dello spaccio e lo stupefacente che sarà successivamente inviato al laboratorio di analisi dell’Asp di Ragusa per i risultati qualitativi e quantitativi al fine di stabilirne con precisione le dosi ed i guadagni che si sarebbero potuti ricavare dall’attività di spaccio.
Nella giornata contro la violenza sulle donne il Norm di Ragusa ha eseguito un arresto per maltrattamenti in famiglia su ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Ragusa.
L’arrestato è un 34enne ragusano, pregiudicato; lo stesso era già stato denunciato più volte per maltrattamenti in famiglia nei confronti della compagna. Da qualche mese era stato colpito dal divieto di avvicinamento alla persona offesa ed ai luoghi frequentati dalla stessa. Tuttavia ha più volte violato tale divieto, fino ad arrivare due giorni fa a raggiungere la donna a casa e, durante una discussione, a ferirla con un morso sulla guancia. La donna, visitata presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Ragusa, porterà per sempre sul volto i segni di quei momenti di rabbia incontrollata, in quanto la ferita era talmente profonda che è stata chiusa con 7 punti di sutura.
Da oggi, con l’uomo in carcere, la donna e la figlia di appena 4 anni possono sentirsi più sicure.
Ieri sera, i Carabinieri del Nucleo Radiomobile della Compagnia di Modica, nel corso di un servizio di controllo del territorio a Scicli, hanno arrestato in flagranza per il reato di evasione un 45enne, Di Mauro Francesco Carmelo, catanese, già noto alle forze dell’ordine.
L’uomo, infatti, dallo scorso aprile, era sottoposto al regime degli arresti domiciliari nella propria abitazione a Belpasso, tuttavia, già da qualche settimana, non era risultato presente ai controlli operati dalle forze di polizia presso la sua residenza.
Nella serata di ieri, una pattuglia dell’aliquota Radiomobile di Modica si è recata a Scicli per effettuare il controllo di un soggetto sottoposto alla detenzione domiciliare e, nella circostanza, i militari dell’Arma hanno trovato il Di Mauro che si era appena nascosto sotto un letto nella speranza di non essere sorpreso dai Carabinieri.
Poiché lo stesso era privo dei propri documenti d’identità, è stato accompagnato in caserma e, dopo averlo sottoposto ai previsti accertamenti per risalire all’identità effettiva, è emerso che lo stesso era evaso dagli arresti domiciliari a Belpasso lo scorso 13 novembre.
A questo punto, accertata l’evasione, l’uomo è stato dichiarato in stato di arresto e, dopo le formalità di rito, su disposizione del Sostituto Procuratore di turno presso il Tribunale di Ragusa, dott. Francesco Riccio, è stato tradotto presso la Casa Circondariale di Ragusa.
Ha confessato l’assassino di Pamela Canzonieri, la ragazza uccisa giovedì scorso a Morro di San Paolo (Brasile).
Si tratta di Antonio Patrício Dos Santos detto “Fabricio”, brasiliano, nato il 21.04.1985 a Nilo Peçanha (Bahia). Le indagini della Polizia Civile di Salvador de Bahia che ha competenza anche sulle unità di polizia dei territori interni e quindi Valença e Morro de São Paulo, si sono indirizzate da subito sulla vita privata e sugli avventori del locale dove lavorava Pamela.
Con il contributo dell’Ufficiale di collegamento Italiano dello SCIP – Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia della Criminalpol di stanza a Rio de Janeiro, che ha partecipato a tutte le attività, si è ristretto velocemente il campo, e già ieri era stato tratto in arresto il “Fabricio”, vicino di casa della vittima.
Nella mattinata odierna il Prefetto Maria Carmela Librizzi ha ricevuto presso il Palazzo del Governo, in visita ufficiale sul tema dell’immigrazione, una delegazione del Governo del Regno di Svezia, composta dall’Ambasciatore Nicola Clase, coordinatore in materia di migranti e rifugiati nell’ambito del Ministero degli Affari Esteri svedese, dalla Ministra Consigliere Kristin Forsgren Bengtsson, e da due funzionari del Ministero degli Esteri svedesi, Adam Rybo e Marika Farkas.
Ad accoglierli, unitamente al Prefetto, sono intervenuti i Responsabili Provinciali delle Forze di Polizia territoriali, della Capitaneria di porto di Pozzallo, il Sindaco del Comune di Pozzallo ed i rappresentanti istituzionali e delle organizzazioni non governative coinvolti nelle operazioni di accoglienza dei migranti nella provincia di Ragusa.
La visita è servita alla delegazione svedese per approfondire le tematiche connesse alle operazioni di identificazione e di accoglienza dei migranti una volta giunti al porto di Pozzallo, con la contestuale conoscenza del complesso sistema operativo posto in essere in questo ambito provinciale.
Nel corso dell’incontro è stato illustrato l’impegno profuso nella strutturazione e nella funzionalità della rete di accoglienza dei migranti, stante l’incessante flusso in ingresso nel litorale ibleo, così come le molteplici iniziative ed attività a sostegno dell’integrazione e dell’inserimento dei richiedenti asilo nel contesto sociale nella provincia di Ragusa.
In particolare, il Prefetto Maria Carmela Librizzi ha rappresentato ai diplomatici svedesi il difficile e persistente scenario che vede il territorio ibleo sovraesposto alla pressione migratoria con picchi di elevate consistenze anche nel periodo autunnale, evidenziando il dispendio organizzativo
nell’articolata azione delle componenti istituzionali e non coinvolte nel processo di accoglienza ai migranti.
Alle interessate richieste sui flussi migratori che interessano la Sicilia ed in particolare la provincia di Ragusa, il Prefetto ha partecipato le complesse procedure seguite per la gestione del fenomeno migratorio, laddove il Questore Giuseppe Gammino ha delineato l’importante azione svolta dalla Polizia di Stato, con il concorso delle altre Forze di Polizia, per le incombenze connesse all’identificazione dei migranti ma anche per le connesse attività investigative, nella fase dello sbarco dei migranti.
Il Sindaco Luigi Ammatuna, nel sottolineare l’impegno dell’Amministrazione comunale di Pozzallo sul versante dell’immigrazione, ha illustrato la costante attenzione della comunità pozzallese nel nell’accoglienza e nell’inclusione sociale dei migranti, con partciolare riferimento ai minori stranieri non accompagnati.
A conclusione del cordiale incontro, l’Ambasciatore Nicole Clase ha ringraziato il Prefetto Maria Carmela Librizzi manifestando viva gratitudine per l’accoglienza ricevuta e per l’utilità dell’odierno confronto che ha permesso alla delegazione svedese di acquisire una esaustiva visione della impegnativa situazione che la provincia di Ragusa affronta nel sostenere il fenomeno migratorio, permettendo così di approfondire le tematiche ad esso connesso.
Dopo aver lasciato il Palazzo del Governo, la delegazione si è recata in visita all’hotspot di Pozzallo per conoscere le condizioni di accoglienza ed il sistema dei servizi socio-assistenziali erogati in favore degli ospiti stranieri
Dagli affari della plastica nel vittoriese (un business di milioni di euro), fino alle agomafie. E poi ancora le infiltrazioni nel Mercato di Vittoria, per arrivare al clan Trigila di Noto, i suoi affari, con nomi e cognomi!
Saranno tutti argomenti trattati questa sera nella puntata di “Cose Nostre” su Rai1 alle 23:15.
Il viaggio nella zona del sud est siciliano, parte dal ragusano per arrivare nella provincia di Siracusa.
Ragusa è la provincia italiana più a sud di Tunisi, una delle province con il reddito procapite più alto della Sicilia, ma che, nonostante la sua ricchezza, è stata sempre considerata la provincia “babba”, stupida, perché si diceva o faceva comodo dire, che quel territorio non potesse interessare alla mafia. Invece è diventata la più grande lavatrice di denaro: i centri commerciali e la droga. La terra in cui ha perso la vita il giornalista Giovanni Spampinato.
Le agromafie, dal Mercato di Vittoria, fino a Fondi e Milano, con le organizzazioni criminali che si spartiscono la torta: Cosa Nostra e Stidda gestiscono la filiera del Mercato vittoriese, cercando di sovrastare i tanti imprenditori per bene, i Casalesi i trasporti e la ‘Ndrangheta che sfrutta le flotte di camion per trasportare la droga.
I mafiosi di Comiso e quelli di Vittoria, la famiglia mafiosa Ventura e le loro attività commerciali. Il racket delle agenzie funebri ed il “caso Scicli” con il comune sciolto per mafia.
Le presenze storiche nel ragusano dei “padrini di Cosa Nostra”, dai palermitani in soggiorno obbligato ad Acate, fino al ritorno del mafioso Claudio Carbonaro, prima pentitosi poi rientrato a delinquere in città. La Stidda e la lunga scia di morti.
I soldi, i tanti soldi delle estorsioni, spesso celate da “servizi imposti”.
E poi l’affare della plastica con un’intervista in esclusiva a Giovanni Donzelli, già condannato per mafia ed oggi proprietario – con la sua famiglia – di una delle ditte più importanti del settore della raccolta, smaltimento e riutilizzo, della plastica delle serre (distese intere di serre!). E’ lo stesso Donzelli a raccontare ai microfoni di Rai1 quelle che definisce come disavventure giovanili e ignoranza, fino alle innumerevoli società intestate a lui ed alla sua famiglia. Va ricordato che l’Azienda del Donzelli è stata sequestrata per disastro ambientale perchè provocava “gravissime conseguenze per l’ambiente” e non rispettava le più elementari norme nè di sicurezza sul lavoro, nè di smaltimento.
Poi il siracusano, da Noto ad Avola, passando per Pachino, Portopalo e Rosolini.
Dalle minacce del mafioso Salvatore Giuliano a Pachino, fino al capo del clan, il malacarne Pinuccio Trigila e la casa simbolo confiscata al pluricondannato Michele Crapula.
Le attività del clan Trigila, dalle estorsioni alla droga, fino ai coinvolgimenti politici ed istituzionali.
Tutto questo e molto altro nella puntata di Cose Nostre, in onda questa sera su Rai1 alle ore 23:15.
Nomi, cognomi e volti, oltre agli affari. Perché conoscere e riconoscere offre la possibilità di decidere da che parte stare: dalla parte di chi denuncia o dall’altra!
Il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha invitato a stare vicini a Paolo Borrometi, il giornalista siciliano che vive sotto sotto scorta dopo essere stato minacciato dalla mafia. “Stasera la bella trasmissione di Rai Uno #CoseNostre racconterà la storia di questo giovane e coraggioso giornalista, a cui dobbiamo stare tutti vicino”, ha scritto Grasso su Facebook.
Il presidente del Senato ha rievocato la storia di Borrometi, collaboratore dell’Agi: “I suoi articoli hanno infastidito le famiglie del luogo, e sono iniziate minacce e aggressioni che gli hanno procurato una menomazione permanente alla spalla”, ha ricordato, “quando ho saputo quello che gli stava succedendo, circa un anno e mezzo fa, l’ho chiamato al telefono. Paolo era, giustamente, molto preoccupato – del resto chi non lo sarebbe stato – ma non ha mai avuto alcuna intenzione di smettere di cercare e raccontare la verità, anche se ora è costretto a vivere sotto scorta“.
Di Borrometi si parlerà questa sera alle 23.15 su Rai1, nella terza puntata del programma Cose Nostre. Nelle sue inchieste, il giovane cronista ha parlato dei traffici milionari che ruotano attorno al mercato ortofrutticolo di Vittoria, del Comune di Scicli sciolto per mafia, del racket delle agenzie funebri.
Attraverso i racconti di Borrometi si potrà conoscere anche Ragusa, la provincia italiana più a sud di Tunisi, la terra di Montalbano, una delle province con il reddito pro capite più alto della Sicilia, ma che, nonostante la sua ricchezza, è stata sempre considerata la provincia “babba”, stupida, perché si diceva o faceva comodo dire, che quel territorio non potesse interessare alla mafia. E invece proprio nella zona di Ragusa, negli anni ’80, è nata una nuova mafia, la stidda. Cose Nostre e’ un programma di Emilia Brandi, Giovanna Ciorciolini, Michele Alberico, Alessandro Chiappetta e Tommaso Franchini, la regia è di Andrea Doretti.
Lo avevamo denunciato, urlato, per la salute dei vittoriesi: con la salute non si imbroglia e, al di là degli aspetti mafiosi per i quali Giovanni Donzelli è stato condannato (per lui una condanna per mafia “può capitare a tutti“), l’azienda Sidi Srl è una “bomba ambientale”, poiché
“la sua attività può aggravare e protrarre le conseguenze del reato, con danno per la salute umana e l’ambiente“.
E se per il Signor Giovanni Donzelli scampare ad attentato “può succedere a tutti che si trova in un bar e dovevano uccidere ad uno e sparano ad un altro“, noi dedichiamo questo articolo alla memoria di Claudio Volpicelli, morto per “sbaglio” in quel drammatico giorno, per mano mafiosa.
FACCIAMO CHIAREZZA:
La Cassazione ha accolto il ricorso della Procura di Ragusa: il sequestro alla ditta Sidi Srl, del condannato per mafia Giovanni Donzelli, era – nei fatti – giusto.
E’ questo, in sintesi, la decisione della suprema Corte, a seguito del ricorso fatto dal Procuratore di Ragusa, Carmelo Petralia e del Sostituto, Valentina Botti (che ha lavorata per mesi sul caso della “bomba ambientale della ditta Sidi Sr), che annulla il provvedimento che dissequestrava l’Azienda di Donzelli e ne rinvia al Tribunale di Ragusa per un nuovo esame, con i principi che vedremo fra poco.
E proprio sabato sera, su Rai1 in occasione del programma “Cose Nostre”, il signor Donzelli aveva definito le nostre denunce fatte da oltre un anno come “minchiate”.
Come spesso accade, però, il destino è beffardo e la sentenza della Corte di Cassazione è arrivata con un tempismo perfetto!
Abbiamo più volte scritto che la Sidi Srl (solo una delle società, la più importante, delle quali Giovanni Donzelli non sa neanche il numero preciso ed i nomi – vedi VIDEO) era ed è una bomba ambientale.
La Procura di Ragusa, per il tramite della Guardia di Finanza, ha svolto delle indagini serie e scrupolose, la cui bontà è confermata anche dalla Cassazione.
Ed anzi, dopo il sequestro valutato dal GIP, come afferma la Cassazione “la situazione è ancor più grave”.
Anche gli accertamenti dalla Cassazione sono stati ritenuti validi.
Si legge testualmente nella sentenza:
“Altrettanto difficoltosa risulta, poi, l’individuazione delle ragioni che avrebbero dato luogo alla ritenuta nullità o inutilizzabilità degli accertamenti”.
Il punto più importante, sul quale si è giocata la “partita” processuale, riguarda la classificazione: per la Procura un rifiuto pericolo, per la difesa un sottoprodotto.
Sul punto la Cassazione è chiarissima:
“Il provvedimento impugnato va poi censurato anche per ciò che concerne la qualificazione come sottoprodotto del materiale depositato.
Da tale definizione” del sottoprodotto “emerge chiaramente che il legislatore ha voluto specificare in modo dettagliato quali siano le condizioni perché un determinato residuo possa qualificarsi come sottoprodotto e dal tenore letterale della norma è altrettanto evidente che la sussistenza delle condizioni indicate debba essere contestuale e che, anche in mancanza di una sola di esse, il residuo rimarrà soggetto alle disposizioni sui rifiuti, come peraltro già osservato dalla giurisprudenza di questa Corte prima dell’introduzione dell’articolo 184-bis.
Il Tribunale del riesame, che pure riproduce testualmente la definizione di sottoprodotto, richiamando anche l’esito di analisi che ne attesterebbero la compatibilità con la definizione medesima, omette del tutto di spiegare, però, sulla base di quali elementi ricava la convinzione che la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla legge sia dimostrata.
In particolare, non si comprende come detto materiale sarebbe utilizzato ai sensi del comma 1 lettere b) e c) dell’art. 184-bis d.lgs. 152\06, dal momento che ne è stato accertato il deposito incontrollato su un terreno adibito a cava unitamente ad altri rifiuti con i quali venivano poi mescolati con mezzi meccanici (cfr. quanto indicato nel provvedimento di sequestro nella parte riportata a pag. 6 dell’ordinanza impugnata) né, tanto meno, come tale situazione sia improduttiva di conseguenze sull’ambiente e la salute come richiesto dalla lettera d) del medesimo comma”.
Infine la questione del deposito di rifiuti ad Acate, anche questo rappresenta una vera e propria “bomba ambientale”.
“Le indagini evidenziavano anche un deposito incontrollato su un terreno (in località Acate) di fanghi provenienti dal processo di recupero del polietilene dismesso e di altri rifiuti speciali”.
Sulla questione delle società a scatole cinesi, delle quali il Signor Donzelli non ricorda né i nomi né il numero, torneremo con un prossimo articolo.
La criminalità economica, grazie alla quale pochissimi si arricchiscono a spese della collettività (tolti gli altri innumerevoli profili di reato!), è la più pericolosa. Sarebbe arrivato il momento che i vittoriesi capiscano che la ricchezza di una famiglia, potrebbe portare a danni irreparabili per la salute di tutti!
Il 29enne Stefano Rizza è morto in un incidente stradale lungo la Ragusa-Palazzolo Acreide.
Il centauro 29enne di Modica autonomamente ha perso il controllo della moto. Sul posto la polizia municipale di Palazzolo e il personale del 118 che ha prestato i primi soccorsi e chiesto l’intervento dell’elisoccorso.
Ancora un’altra vita spezzata a Modica, Stefano era un ragazzo amato da tutti e la comunità è sotto shock.