Maria Iemmolo, commerciante modicana, dopo l’ennesimo intervento, ha deciso di raccogliere le forze per farsi portavoce di una situazione che sicuramente interesserà tanti altri pazienti, colpiti dai tagli indiscriminati alla sanità e che rischiano di creare un grosso problema sociale per chi non potrà mettersi determinate tipologie di cure e di farmaci. La signora Maria è diventata una delle molteplici vittime che i continui tagli alla sanità continuano a mietere giornalmente. In seguito a un intervento chirurgico a cui è stata sottoposta alcuni anni fa, ha avuto necessità di utilizzare determinati presidi medici, indispensabili per la sopravvivenza, che fino a qualche settimana fa l’Asp le forniva gratuitamente. Poi senza alcun preavviso l’amara scoperta: a causa di tagli su scala nazionale nel suo caso e per la sua patologia non si sarebbe potuto più procedere con l’erogazione dei presidi gratuitamente. I costi che la donna modicana avrebbe dovuto affrontare tra l’altro consisterebbero in più di 300 euro al mese, spese troppo alte che non possono essere sostenute a lungo, che si aggiungono ad altre già affrontate in seguito al primo intervento. Così la signora Maria è stata costretta a sottoporsi a stomia, un’operazione invasiva e difficile da affrontare anche dal punto di vista psicologico. E oltre al danno anche la beffa: adesso avrà necessità di utilizzare un’altra tipologia di presidi che l’Asp è costretta a fornirle gratuitamente, ma anche in questo caso la signora Maria adesso incontra ulteriori difficoltà per ottenere una determinata tipologia di catetere, visto che quello che l’azienda sanitaria le fornirebbe gratuitamente le ha già causato fastidi e irritazioni. Adesso attendiamo insieme le spiegazioni, si spera, dell’ ASP.
Nel pomeriggio del 17 novembre è giunta al porto di Pozzallo la nave “TOPAZ RESPONDER” con a bordo 552 migranti, così distinti 383 uomini, 78 donne e 91 minori, di cui 70 non accompagnati, in prevalenza di origine subsahariana e provenienti dai seguenti Paesi: Nigeria, Libia, Blangadesh, Sudan, Gambia, Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Siria e Tunisia.
Le operazioni di sbarco avviate alle ore 15.30 nell’area portuale di Pozzallo e concluse nella tarda serata sono state particolarmente complesse in relazione all’elevato numero dei migranti e per le condizioni meteorologiche particolarmente avverse.
Le attività di primo soccorso ed assistenza ai migranti, coordinate dalla Prefettura di Ragusa, sono state prestate dagli operatori della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza, della Capitaneria di Porto, del Comune di Pozzallo, dell’USMAF, dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Ragusa, con il concorso di personale del Servizio provinciale di Ragusa del Dipartimento Regionale della Protezione Civile, della Croce Rossa Italiana, e delle Organizzazioni umanitarie non governative (Emergency, UNCHR, OIM, Save The Children, Terre des Hommes, Medu).
Tutti i migranti giunti nel pomeriggio di ieri sono stati sottoposti alle prime verifiche e cure sanitarie da parte del personale medico presente e nella stessa serata 250 sono trasferiti, previo espletamento delle procedure di identificazione e fotosegnalamento all’interno del locale hotspot, nelle strutture di accoglienza delle regioni Campania, Piemonte, Calabria, Veneto ed Emilia Romagna, in conformità a specifiche direttive del Ministero dell’Interno, laddove i rimanenti sono stati accolti presso la locale struttura sita nell’area portuale di Pozzallo in attesa delle disposizioni ministeriali per il conseguente loro riallocamento
Quattro donne in stato di gravidanza ed un uomo, in esito alle verifiche sanitarie effettuate sia a bordo che in banchina nel rispetto delle previste procedure, sono stati accompagnati nel vicino presidio ospedaliero di Modica per gli opportuni accertamenti sanitari.
In condizioni di continuità operativa, il dispositivo di assistenza e di accoglienza – coordinato dal Prefetto Maria Carmela Librizzi – ha consentito nella massima sicurezza, sia pur in presenza di un consistente numero di migranti, un corretto ed efficace svolgimento della gestione socio-assistenziale, sanitaria dei migranti e delle operazioni di identificazione dei medesimi con ampia e proficua collaborazione dei soggetti istituzionali a vario titolo coinvolti, analogamente ai recenti eventi di sbarchi di migranti.
Il Prefetto Librizzi ha sottolineato la generosità, la professionalità e l’impegno delle donne e degli uomini della Prefettura, delle Forze dell’Ordine, del Comune di Pozzallo, degli Organismi umanitari e delle Associazioni di volontariato che senza tregua continuano ad adoperarsi per accogliere i migranti, confermando la rete di solidarietà nella provincia iblea che funziona efficacemente con il contributo di tutte le componenti istituzionali chiamate a collaborare.
La Polizia di Stato – Squadra Mobile e Commissariato di Modica – ieri ha proceduto all’esecuzione di 14 delle 17 misure cautelari in carcere così come già ampiamente descritto.
Ieri, uno dei destinatari del mandato di cattura, PRENCE Odise di origini albanesi, veniva scovato, grazie alle attività d’indagine della Squadra Mobile e del Commissariato di Modica, nel comune di Marino (RM).
I continui contatti con gli uomini della Polizia di Stato della Sezione investigativa del locale Commissariato di Marino, hanno permesso di trovare riscontro sul territorio romano per l’individuazione del catturando.
I poliziotti che dovevano ricercare il soggetto albanese destinatario della cattura erano stati informati dagli investigatori iblei della pericolosità del catturando.
Sin dalla notte dell’esecuzione, Prence aveva cambiato appartamento, abitudine che aveva anche durante il periodo in cui era intercettato poiché temeva che la Polizia lo potesse arrestare da un momento all’altro.
Nonostante il tentativo di sfuggire alla cattura, Prence veniva individuato grazie alla conoscenza del territorio dei poliziotti di Marino (RM).
Giunti presso la nuova abitazione, i poliziotti cinturavano la zona, conoscendo la pericolosità del soggetto da catturare.
Non appena davanti la porta dell’appartamento, si procedeva al blitz che doveva essere rapido e d’impatto per evitare reazioni del catturando.
In pochi secondi all’intero della casa c’erano 8 poliziotti che lo bloccavano; la perquisizione dava esito positivo, l’uomo era in possesso di una pistola, modello revolver, pronta a far fuoco e con decine di munizioni a disposizione.
Dagli accertamenti informatici presso la banca dati delle armi da sparo, si appurava che l’arma fosse di provenienza furtiva, pertanto Prence veniva arresto in flagranza di reato per la detenzione di arma illegale.
I poliziotti poi, notificavano anche l’ordine di esecuzione della misura cautelare in carcere nell’ambito della ampiamente descritta operazione “BLADE”.
Prence, durante il periodo delle indagini, si occupava degli approvvigionamenti di stupefacente dal comune capitolino a Ragusa; successivamente la droga veniva ulteriormente ripartita nella provincia iblea.
“La Polizia di Stato durante le operazioni di cattura di soggetti così pericolosi, adotta ogni cautela per preservare l’incolumità di eventuali soggetti estranei ai fatti reato (parenti e vicini di casa ad esempio) e dei poliziotti inviati in missione per i blitz”.
Oggi avranno inizio gli interrogatori presso gli istituti di pena dove sono associati tutti gli indagati ad eccezione di una delle donne scarcerata perché ha un figlio neonato.
La Polizia di Stato – Squadra Mobile – durante i controlli di routine all’interno ed all’esterno degli istituti scolastici di Ragusa ha individuato un giovane di appena 14 anni con due spinelli già confezionati. Per questi fatti il ragazzo è stato segnalato alla Prefettura di Ragusa, dove a breve sarà convocato per l’inizio del percorso previsto dall’Ufficio Territoriale del Governo.
La droga è stata rinvenuta da “Argo” – il cane poliziotto delle Unità Cinofile in forza alla Questura di Catania – negli slip di un ragazzo che frequenta un liceo di Ragusa.
Il resto è stato sequestrato a carico di ignoti all’interno di un istituto professionale, in quanto durante i controlli effettuati in alcune classi, da altre aule hanno gettato dalla finestra delle bustine con marijuana. Sicuramente la droga gettata dalla finestra era destinata ad un uso personale in quanto si tratta di più dosi, ma sempre in modica quantità, trovate nel cortile, proprio sotto le finestre delle aule. I giovani, avendo notato che in alcune classi c’erano i cani delle unità cinofile della Polizia di Stato all’opera, hanno preferito disfarsi di quanto detenuto per uso personale.
I ragazzi che frequentano l’aula interessata dal disfacimento delle dosi di marijuana sono stati ascoltati sul posto dagli agenti della Squadra Mobile che hanno osservato tutto, ma non hanno voluto riferire nulla sulla provenienza e su chi l’avesse gettata. Il dirigente scolastico così come gli insegnanti sono stati informati, mostrando, come sempre, piena collaborazione con la Squadra Mobile. Adesso valuteranno se da un punto di vista disciplinare ricorrono i presupposti per una sanzione.
Altri controlli sono stati fatti in alcune abitazioni connesse a soggetti che orbitano all’interno ed all’esterno degli istituti scolastici e sono tuttora in corso delicate indagini.
Il ragazzo trovato in possesso della droga ha fornito delle versioni di pura fantasia, senza assumersi la responsabilità e senza riferire nulla provenienza dello stupefacente. Per questi fatti sono in corso ulteriori accertamenti a verifica di quanto raccolto presso la scuola frequentata.
La piena collaborazione dei dirigenti scolastici ed insegnanti, è fondamentale durante questi controlli (spesso richiesti dalla presidenza), poiché solo con una buona educazione/prevenzione sull’uso degli stupefacenti ed i danni ad essi correlati si possono formare adolescenti consapevoli dei rischi che corrono. Di pari passo alla prevenzione, è necessario reprimere quei fenomeni gravissimi presenti nelle scuole, di spacciatori molto giovani che spesso si avviano al crimine per avere una disponibilità economica sin da giovanissimi o per acquistare stupefacente in quantità più consistenti proprio per la dipendenza psicologica e fisica che ne deriva.
“La Polizia di Stato, grazie anche alla collaborazione degli istituti scolastici, continuerà l’attività di prevenzione e repressione dell’uso di sostanze stupefacenti, così da offrire un luogo sicuro agli studenti e riportare sul buon cammino, i giovani che fanno uso di droga o compiono reati spacciandola”.
La Polizia a seguito di questo nuovo sbarco, ha raccolto gravi indizi di colpevolezza a carico di:
PRIEYE Williams, nato in Nigeria il 22/08/1990 eT.I. nato in Gambia di 17 anni.
Secondo i testimoni sono loro che hanno condotto le imbarcazioni partite dalle coste libiche. I responsabili del delitto previsto dall’art. 12 D.Lgs.vo 25.7.1998 nr. 286, concorrevano con altri soggetti presenti in Libia al fine di trarne ingiusto ed ingente profitto, compiendo atti diretti a procurare l’ingresso clandestino nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari. Il delitto è aggravato dal fatto di aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale in Italia di più di 5 persone; perché è stato commesso da più di 3 persone in concorso tra loro; per aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale delle persone esponendole a pericolo per la loro vita e incolumità ed inoltre per aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale le persone sono state sottoposte a trattamento inumano e degradante.
I migranti provenienti dal centro Africa sono stati ospitati presso l’Hot Spot di Pozzallo per essere visitati, identificati e trasferiti in altri centri.
MODALITA’ DI SOCCORSO IN MARE
Tra il 15 ed il 16 novembre scorsi, la motonave “TOPAZ RESPONDER” effettuava cinque soccorsi in acque SAR libiche di altrettanti natanti con migranti a bordo. In particolare, alle ore 17,35 del 15/11/2016, in posizione un gommone di colore bianco con 99 migranti a bordo che venivano trasbordati. Alle successive ore 19,05, imbarcazione con a bordo 22 migranti che venivano recuperati e presi a bordo. Alle ore 07,22 del 16/11/2016 avvistava due gommoni di colore blu procedeva al loro recupero. Difatti, alle ore 09,50 iniziavano i soccorsi che terminavano con il recupero rispettivamente di 150 e 170 migranti.
Alle ore 11,40 venivano trasbordati i 113 occupanti un altro natante. Alle successive ore 19,45 procedeva verso il porto di Pozzallo dove giungeva alle ore 15,00 del 17/10/2016 con 552 clandestini di varie nazionalità: Bangladesh, Nigeria, Libia, Gambia, Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Sudan e Tunisia.
Dopo le operazioni sanitarie di rito, i migranti venivano trasferiti presso l’Hotspot i Pozzallo per le operazioni di identificazione.
ORDINE PUBBLICO ED ASSISTENZA
Il lavoro degli agenti della Polizia è sempre molto difficile in quanto bisogna far conciliare le esigenze di ordine pubblico, quelle di Polizia Giudiziaria ed ovviamente l’assistenza ai migranti appena sbarcati che resta prioritaria.
Il Funzionario dirigente del servizio di Ordine e Sicurezza Pubblica della Polizia di Stato, con a disposizione decine di uomini, ha dovuto poi coordinare, le immediate partenze, i trasferimenti dall’Hot Spot ad altre regioni di centinaia di migranti, in piena sinergia con i funzionari della Prefettura che coordinano la “macchina” dell’accoglienza.
Le operazioni di sbarco non hanno fatto registrare criticità ed è stata prestata la massima attenzione verso i soggetti che avevano bisogno di cure mediche, in particolar modo diverse donne incinte e minorenni.
Alle procedure hanno partecipato 30 Agenti della Polizia di Stato ed altri uomini appartenenti alle Forze dell’Ordine ed all’Esercito Italiano, così come gli Enti inviati dalla Prefettura di Ragusa, Protezione Civile, Croce Rossa Italiana e medici dell’A.S.P. per le visite mediche.
Le attività dell’Ufficio Immigrazione della Polizia di Stato risultano sempre complesse, dovendo essere espletate in tempi ristretti numerose incombenze, così da permettere un immediato invio dei migranti in idonee strutture d’accoglienza individuate dalla Prefettura in base ad un articolato piano di riparto nazionale del Ministero dell’Interno.
La Polizia Scientifica ha lavorato consequenzialmente senza sosta per le operazioni di preidentificazione e fotosegnalamento, in considerazione dei nuovi arrivi. Si sta procedendo al fotosegnalamento dei migranti sbarcati ed al loro trasferimento ad operazioni ultimate, da parte degli uomini della Polizia di Stato che lavorano senza sosta.
LE INDAGINI
Gli uomini della Polizia di Stato – Squadra Mobile Questura di Ragusa – con la partecipazione di un’aliquota della Guardia di Finanza ed una dei Carabinieri, hanno sottoposto a fermo 2 scafisti di altrettanti gommoni soccorsi. Tuttora sono in corso indagini per individuare gli altri responsabili del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Le immediate indagini hanno permesso di raccogliere gravi indizi di colpevolezza a carico degli scafisti, grazie sempre alle testimonianze sapientemente raccolte dagli investigatori.
nuovamente un minore tra gli arrestati, il giovane di appena17 anni conduceva il gommone con a bordo 99 migranti. I testimoni hanno riferito che, proprio sul gommone condotto dal minore, circa 25 migranti, a causa delle pessime condizioni meteo, sono caduti in mare. I compagni di viaggio non sono stati in grado di riferire quanti sono quelli che sono risaliti e quanti sono scomparsi tra le onde perchè c’era molta agitazione ed oguno ha pensato salvarsi senza poter controllare gli altri.
Lo scafista minorenne è stato anche ascoltato dai poliziotti ma non ha forntito alcuna indicazione sugli altri migranti e si è dichiarato innocente.
Lo scafista maggiorenne è stato condotto in carcere a Ragusa a disposizione dell’A.G. iblea, mentre il minore è stato accompagnato a Catania presso il Centro di permanenza per minori indagati di reato a disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni.
LA CATTURA
Le indagini condotte dalla Polizia Giudiziaria, hanno permesso anche questa volta di sottoporre a fermo di indiziato di delitto il responsabile del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Al termine dell’Attività di Polizia Giudiziaria, coordinata dalla Procura della Repubblica di Ragusa, gli investigatori hanno infatti ristretto gli scafisti che dopo le formalità di rito e l’identificazione da parte della Polizia Scientifica sono stati condotti presso il carcere di Ragusa a disposizione dell’Autorità Giudiziaria Iblea impegnata in prima linea sul fronte immigrazione. Sono ormai quotidiane le udienze di incidente probatorio e quelle che portano alla condanna degli scafisti, rispettivamente per la ulteriore cristallizzazione in sede processuale della prova anche ai fini dibattimentali. Al riguardo molte le sentenze di condanne dell’Autorità Giudiziaria.
BILANCIO ATTIVITA’ DELLA POLIZIA
Nel 2016 sono 177 gli scafisti fermati in provincia di Ragusa. Lo scorso anno sono stati arrestati 150 scafisti dalla Polizia Giudiziaria. Inoltre, sono in corso numerose attività in collaborazione con le altre Squadre Mobili siciliane della Polizia di Stato (coordinate dal Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine) al fine di permettere scambi informativi utili per gestire indagini sul traffico di migranti dalle coste straniere a quelle Italiane.
In mattinata i Carabinieri della Stazione di Ragusa hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, emessa dal Tribunale di Ragusa, nei confronti di SCOTTON Roberto, 61enne ragusano, ritenuto responsabile dei reati di circonvenzione di incapace e furto aggravato nei confronti di una signora anziana gravemente malata, sola ed ipovedente.
L’attività di indagine è nata dalla segnalazione di una vicina di casa della signora che, nel mese di marzo, ha attivato i servizi sociali del Comune di Ragusa denunciando lo stato di indigenza e scarsa pulizia della casa in cui viveva la signora. Gli assistenti sociali intervenuti hanno riscontrato la totale assenza di igiene della persona e degli ambienti ed hanno effettivamente constatato che, nonostante la signora percepisse mensilmente una pensione di 1.000,00 euro non aveva di fatto neanche pochi euro per fare la spesa quotidiana, per cui hanno richiesto l’intervento della Stazione CC di Ragusa.
I militari, sin da subito, hanno verificato che la pensione della signora era stata sempre regolarmente riscossa presso l’ufficio postale e che l’unica persona con cui la signora aveva contatti era lo Scotton, che abita nello stesso quartiere della signora e che quotidianamente la andava a trovare. L’uomo, già noto ai servizi sociali quale alcolista, frequentava la casa della donna da almeno due anni nelle ore serali e, approfittando dello stato di abbandono e solitudine patito dalla signora, era riuscito ad instaurare con lei un rapporto di fiducia, ai limiti della “dipendenza psicologica”, riuscendo perfino a farsi ospitare nella stessa casa. Inoltre, facendo leva sulla compassione, lo Scotton era riuscto in vari modi ad indure la signora a consegnargli del denaro; talvolta lamentava di soffrire di gravi patologie per cui chiedeva aiuti economici per interventi fittizi e talvolta si presentava da lei con la barba incolta e trasandato dicendole di non avere i soldi per andare dal barbiere né per fare la spesa. Vari episodi di questo tipo sono stati documentati dalle intercettazioni ambientali effettuate in camera da letto della donna, dove la stessa viveva per lo più allettatta. Inoltre, in più occasioni, l’arrestato, non contento delle somme di denaro che l’anziana gli consegnava, la rimproverava ed arrivava a picchiarla nell’intento di ottenere altro denaro. Almeno in un caso, ripreso dalle telecamere, lo Scotton si è anche appropriato del denaro che la donna conservava in un mobile nella camera da letto.
Nel corso delle indagini, la signora totalmente succube dell’uomo non ha inteso sporgere querela in quanto riteneva che l’uomo fosse l’unica persona che materialmente le dimostrava affetto.
Alla luce degli elementi raccolti e nonostante lo Scotton sia incensurato, su richiesta del PM Sost. Proc. Dott.ssa Giulia Bisello il GIP Giovanni Giampiccolo ha ritenuto opportuno emettere una misura custodiale che potesse essere adeguata ad interrompere la condotta criminosa, in attesa di una decisione del giudice tutelare in merito alla nomina di un amministratore di sostegno per la vittima.
Più di 300 articoli di merce contraffatta tra cui dvd di film in prima visione nei cinematografi italiani e cd con le recensioni in campo musicale, privi del marchio SIAE ed oltre un centinaio di giubbini e scarpe riportanti i loghi dei marchi più costosi presenti sul mercato, tutto ovviamente contraffatto.
I Poliziotti del Commissariato di Vittoria hanno bloccato due extracomunitari di origine marocchina, rispettivamente di 32 e 29 anni, il primo con precedenti penali, il secondo mai censito in Italia, entrambi irregolari.
La merce è stata sequestrata, i due marocchini sono stati sottoposti ai rilievi fotosegnaletici di Polizia Scientifica e nei loro confronti è stato avviato l’iter previsto per l’espulsione dal territorio nazionale. Inoltre sono stati denunciati all’autorità giudiziaria per il reato di detenzione di merce contraffatta per la successiva vendita.
Lunedì 21 novembre 2016, alle ore 11:00, a Ragusa, presso la Chiesa di San Francesco d’Assisi, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Carmelo CUTTITTA Vescovo di Ragusaofficerà la solenne Celebrazione Eucaristica nella ricorrenza della “Virgo Fidelis”, Celeste Patrona dell’Arma e del 75° anniversario della “Battaglia di Culqualber” e della “Giornata dell’Orfano”.
Alla cerimonia, organizzata dal Comandante Provinciale Ten. Col. Federico Reginato, sono state invitate le massime autorità civili, militari e religiose della provincia, gli Ufficiali, i Marescialli, i Brigadieri, gli Appuntati e i Carabinieri, unitamente alle Associazioni Combattentistiche delle varie Armi, nonché le vedove e gli orfani dell’Arma.
Durante la cerimonia verrà recitata la “Preghiera del Carabiniere”, mentre il Comandante Provinciale terrà una breve allocuzione rievocativa e, al termine, sarà intonato da parte di tutti i presenti e dal coro parrocchiale l’“Inno alla Virgo Fidelis”.
La Vergine Maria fu proclamata Patrona dell’Arma, con il titolo di “Virgo Fidelis”, nel 1949, da Papa Pio XII, il quale, ispirandosi al motto dei Carabinieri “Nei secoli fedele”, ne fissava la celebrazione proprio il 21 novembre, in concomitanza della presentazione di Maria Vergine al Tempio e della ricorrenza della Battaglia di Culqualber, fatto d’armi in cui l’eroismo, fino alla morte, del 1° Battaglione Carabinieri Reali mobilitato in Africa Orientale, composto da due Compagnie Carabinieri, che valse alla Bandiera dell’Arma la seconda Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Cosi’ in una nota, i familiari di Pamela, la donna di di Ragusa, trovata morta in Brasile.
“In un momento cosi’ triste e difficile che sta attraversando la mia famiglia – dice Valeria Canzonieri, la sorella – la nostra abitazione e’ invasa solo ed esclusivamente da giornalisti. Nulla da dire per chi lavora, ma chiediamo di rispettare il nostro silenzio dettato da un dolore incolmabile. Abbiamo ricevuto il cordoglio da tutto il mondo. Telefonate da piu’ parti del globo che ci hanno espresso la loro vicinanza per un dramma che ci ha colpito all’improvviso. Mi dispiace non aver ricevuto un attestato di vicinanza dallo Stato italiano. Mia sorella era un’italiana che lavorava all’estero. Ci saremmo aspettati una telefonata da un rappresentante dello Stato. Invece nulla. Neanche del nostro Premier, Matteo Renzi che si dichiara vicino agli italiani. Caro Renzi la sensibilita’ di un politico ad alti livelli come e’ Lei, si vede anche dalla vicinanza che Lei offre a chi soffre e a chi e’ in difficolta’. Noi lo siamo”.
Valeria Canzonieri racconta anche il dramma di non sapere come fare per riportare in Italia il corpo della sorella perche’ nessuno da’ indicazioni.
“Caro Renzi – prosegue – la nostra e’ una famiglia per bene. Hanno provato ad infangare la memoria di Pamela, ma mia sorella era stimata da tutti, anche in Brasile dove lavorava onestamente. Un’altra italiana emigrata all’estero perche’ in Italia non trovava lavoro. Ci sentiamo bloccati.
Dal Consolato nessuna indicazione su come muoverci e su cosa fare per riavere Pamela. Dopo tre giorni dalla sua morte ci sentiamo abbandonati dalle istituzioni. Notizie che apprendiamo solo dai giornalisti, e non dagli enti dello Stato preposti alle comunicazioni ufficiali. Non credo che mia sorella Pamela sia diversa da tutti gli altri italiani uccisi all’estero. Non vogliamo parate e riflettori puntati. Vogliamo, da italiani, verita’ sulla morte di Pamela e uno Stato che ci tuteli e ci stia vicino”. Silenzio dallo Stato dice la famiglia Canzonieri, ma anche dalle istituzioni della citta’ di Ragusa “nessun attestato di cordoglio dal primo concittadino di Pamela”.
La nota si conclude con i ringraziamenti al capitano dei carabinieri della investigativa di Ragusa, Domenico Spadaro, “che ci sta vicino seguendo insieme a noi l’evolversi degli eventi chiedendoci sempre di cosa abbiamo bisogno, ed il dirigente della Squadra mobile della Questura di Ragusa, Antonino Ciavola”.
CHI ERA PAMELA?
La donna trovata morta nella sua abitazione di Morro Bahia, in Brasile, è la ragusana Pamela Canzonieri, 39 anni. Lavorava in un albergo come cameriera e receptionist. Era in Brasile da un paio d’anni. Era andata prima per le vacanze e poi avendo trovato lavoro si era stabilizzata nello stato di San Paolo. I suoi genitori e la sorella minore vivono a Ragusa. A scoprire della morte della donna è stata la sorella più giovane, Valeria, che sulla bacheca di un’amica di Pamela, ha letto in portoghese l’addio alla sorella.
Una vigilessa di 52 anni, Separata e madre di figli a causa, in servizio al Comando municipale di Ragusa, has been trovata morta all’interno del Suo appartamento. E ‘Stato Uno dei due figli una tariffa la scoperta.
Sono intervenuti i carabinieri Che, al Momento, privilegiano la pista del suicidio.
E ‘Probabile Che la donna si SIA sparata con la pistola dell’Ordinanza, ma Sarà l’esame dello’ stub ‘, Uno speciale tampone adesivo, un chiarire se SIA Partito Il colpo mortale.
La Procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per Matteo Messina Denaro, ritenuto uno dei mandanti delle stragi del ’92, in cui furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L’udienza preliminare e’ stata fissata per il 22 dicembre, davanti al giudice Marcello Testaquatra.
Il provvedimento, e’ stato notificato a Castelvetrano, alla madre del superlatitante. Il ruolo di mandante di Matteo Messina Denaro, imprendibile dal ’93, emerge da piu’ collaboratori di giustizia che negli anni hanno raccontato che il latitante trapanese reggeva Cosa nostra nella sua provincia al posto del padre, il capomafia Ciccio Messina Denaro.
Dai racconti dei pentiti Vincenzo Sinacori e Francesco Geraci emerge che Matteo Messina Denaro – a lungo ritenuto l’erede di Toto’ Riina che di lui un tempo aveva grande fiducia – avrebbe preso parte, nel settembre 1991, al summit mafioso di Castelvetrano in cui sarebbe stato pianificato il progetto di assassinare Falcone. Il super latitante aveva anche progettato l’attentato al giudice Borsellino quando era procuratore a Marsala. L’inchiesta e’ coordinata dal Procuratore Amedeo Bertone e dai sostituti Procuratori Gabriele Paci, Lia Sava e Stefano Luciani.
Una professionista arrestato e un dirigente regionale sospeso per corruzione nel settore delle energie rinnovabili in Sicilia.
I carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, coordinati dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia e dal sostituto Claudia Ferrari, hanno seguito i provvedimenti a conclusione delle indagini che hanno consentito di documentare le mazzette elargite da Vincenzo Salvatore Sucato, consulente per la Sicilia di una societa’ leader in Europa nel campo della produzione di rinnovabili, nei confronti del dirigente pro tempore dell’assessorato regionale all’Energia Salvatore Rando.
Da quest’ultimo avrebbe ottenuto, dietro pagamento di una tangente di 7 mila euro, il rilascio di un decreto autorizzativo in sanatoria. In particolare, il provvedimento avrebbe sanato la mancanza di autorizzazione a collegare, alla linea elettrica nazionale, un impianto fotovoltaico dell’azienda, nel Comune di Ragusa, senza la quale il Gestore di servizi energetici spa non avrebbe potuto erogare gli incentivi previsti dalla legge per la produzione di energia prodotta da fonti rinnovabili.
Nello stesso procedimento, e’ inoltre indagato l’amministratore delegato che sarebbe il ‘mandante’. Sequestrati documenti nel corso delle perquisizioni nell’assessorato all’Energia e nella sede di Roma della societa’, nonche’ presso le abitazioni di tutti gli indagati. In particolare, all’interno dell’azienda e’ stata reperita la bozza del decreto inviata da Rando perche’ venisse modificata secondo gli obiettivi dei vertici della societa’.
Il Giudice per le indagini preliminari ha disposto che Sucato, quale consulente per la societa’ in questione (e non per la carica di assessore ai Lavori Pubblici che ricopre a Santa Flavia), sia posto agli arresti domiciliari; e che Rando sia sospeso dall’esercizio del pubblico ufficio di dirigente in servizio presso l’amministrazione regionale siciliana. Nei confronti della societa’ produttrice di energia rinnovabile, verra’ invece valutata l’applicazione della misura interdittiva cautelare della esclusione per un anno da ogni tipo di finanziamento, agevolazione e contributo pubblico in relazione agli impianti fotovoltaici situati nel territorio della Regione siciliana.
Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Ragusa hanno denunciato un soggetto che ha installato e curato la manutenzione dei registratori di cassa presenti presso numerosi esercizi commerciali della provincia iblea, senza avere la prescritta abilitazione dell’Agenzia delle Entrate.
Nell’ambito dei controlli finalizzati al riscontro del regolare rilascio dello scontrino fiscale, i finanzieri della Tenenza di Modica hanno scoperto un modicano, S.M. di anni 41, commerciante di macchine ed attrezzature per ufficio, che ha ingegnato questa truffa nei confronti di oltre 350 ignari esercenti che, in buona fede, si sono affidati al tecnico.
In particolare, i militari hanno conteggiato più di 450 casi di operazioni di defiscalizzazione, installazione e verifica annuale dei registratori di cassa, effettuate senza che l’operatore fosse in possesso dell’abilitazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate. Sono in corso gli ulteriori accertamenti finalizzati a quantificare l’ammontare delle operazioni irregolarmente certificate.
L’attività del tecnico è stata prontamente interrotta attraverso il ritiro del punzone identificativo irregolarmente utilizzato e dei bollini di certificazione. Inoltre lo stesso è stato deferito alla Procura della Repubblica di Ragusa per i reati di falso in certificazione e truffa nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.
Le installazioni e le verifiche periodiche irregolarmente effettuate dall’operatore saranno sottoposte ad ulteriori approfondimenti, al fine di valutare se ricorrano o meno i presupposti per le violazioni di “omessa installazione od omessa revisione del misuratore fiscale”.
Stesso copione ripetutosi durante l’estate quello di qualcuno che, approfittando della distrazione di infermieri impegnati nel loro lavoro o pazienti che hanno altro di cui preoccuparsi, ha perpetrato i furti di alcuni cellulari all’interno dell’ospedale “Maria Paternò Arezzo” di Ragusa Ibla. Gesto deprecabile a cui i militari della stazione di Ragusa Ibla hanno risposto con una mirata attività investigativa. E così dall’analisi dei tabulati è emerso che i telefoni rubati venivano utilizzati da 7 persone, tra cui una casalinga italiana, due sudafricani e due ragazze romene che li avevano acquistati a cifre irrisorie da conoscenti. I militari, dopo aver identificato gli utilizzatori hanno proceduto alla perquisizione delegata degli stessi e dei loro domicili, riuscendo a ritrovare la refurtiva che è stata recuperata per essere successivamente restituita.
Tutti e sette i detentori dei cellulari sono stati denunciati a piede libero per ricettazione, mentre, sulla scorta delle indicazioni fornite dagli indagati sui venditori dei cellulari, la Stazione continua l’attività di indagine tesa a scoprire i materiali esecutori dei furti.
I finanzieri del Comando Provinciale di Ragusa, su delega dell’Autorità Giudiziaria, hanno denunciato 13 soggettiper reati fiscali, riconducibili a 9 società, e sequestrato beni immobili, mobili nonché somme di denaro per un ammontare complessivo pari adoltre 1 milione e 100 mila euro.
Da un’attenta analisi delle avanzate banche dati in uso al Corpo, le Fiamme Gialle della Compagnia di Vittoria hanno rilevato delle anomalie in alcune partite Iva ricadenti nei territori di Acate e Vittoria, caratterizzate da rapporti commerciali anche con Stati esteri. I settori economici interessati sono la produzione di imballaggi, il trasporto di merci su gomma e il commercio all’ingrosso di ortofrutta, tutte attività cardine dell’indotto del mercato ortofrutticolo di Vittoria. A seguito di mirati accertamenti, i finanzieri sono riusciti a scoprire dei veri e propri “sistemi” di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (f.o.i.), quantificate in circa 6 milioni di euro, che sono stati ben orchestrati da 7 soggetti che si potrebbero definire “professionisti del crimine fiscale”, le veri menti di questa truffa.
Leitmotiv di queste frodi è stato l’utilizzo strumentale delle cc.dd. “teste di legno”, cioè soggetti prestanome nullatenenti, sfruttati al solo fine di “scaricare” le responsabilità civili e penali scaturenti dal mancato rispetto degli obblighi fiscali su persone fisiche e giuridiche non aggredibili patrimonialmente. Tali società vengono definite “cartiere”, in quanto, assolutamente prive di mezzi e di strutture sia logistiche che operative, non si occupano della movimentazione materiale delle merci, ma solo dell’acquisto e della vendita “di carta”, cioè di fatture false. Dei sei prestanomi individuati, posti quali amministratori formali di altrettante società cartiera, è apparso singolare lo sfruttamento di un’intera famiglia vittoriese, costituita da padre e due figli, i quali si sono apprestati, evidentemente per rilevanti difficoltà economiche, a divenire intestatari fittizi di diverse società. Tra i sistemi utilizzati al fine di “gonfiare” i costi aziendali e pagare meno imposte all’Erario, le Fiamme Gialle di Vittoria hanno individuato due peculiari modalità evasive:
una sovrafatturazione fittizia eseguita ad opera di una società di capitali evasore totale, intestata ad un prestanome, assolutamente non in grado di comprendere gli obblighi derivanti dalla gestione di un’impresa commerciale. In particolare, le predette fatture, inerenti la costruzione di un macchinario industriale, ammontavano a circa 900 mila euro, a fronte di una spesa realmente sostenuta di appena 125 mila euro;
una frode “carosello”, di seguito sintetizzata:
la società fittizia, appositamente creata e intestata ad un soggetto inconsapevole (addirittura detenuto in carcere all’epoca dei fatti), ha acquistato imballaggi in legno senza IVA dalla Bulgaria (che ha venduto in regime di non imponibilità, in quanto trattasi di cessioni comunitarie);
successivamente, la società cartiera ha rivenduto la merce sottocosto (scorporando l’IVA) all’effettivo destinatario italiano, omettendo tutti i versamenti fiscali. Il “reale acquirente” ha potuto così usufruire della detrazione dell’IVA pagata sull’acquisto dei prodotti e, nel contempo, ha avuto a disposizione beni con un costo ridotto, in quanto ha tramutato parte dello stesso in credito verso l’Erario.
La Questura di Ragusa, in attuazione del piano d’azione denominato “Modello Trinacria”, con il prezioso ausilio del Reparto Prevenzione Crimine di Catania, dal 14 al 19 novembre c.a., ha implementato i servizi straordinari di prevenzione e controllo del territorio, con particolare attenzione ai territori dei Comuni di Ragusa, Comiso e Vittoria.
Al fine di rendere più incisiva l’attività della Polizia di Stato, il Ministero dell’Interno ha disposto l’invio di numerosi equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine di Catania, a supporto dell’attività nel territorio provinciale.
Nell’ambito dell’articolato piano di controlli straordinari del territorio sono stati impiegati, nell’arco della settimana suindicata, 25 equipaggi della Polizia di Stato con 65 operatori, sempre diretti e coordinati, dal Dirigente dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico della Questura di Ragusa e dai Dirigenti dei Commissariati P.S. di Vittoria e Comiso.
Nel corso dei servizi straordinari sono stati controllati nr. 150 autoveicoli, 255 persone, sono state elevate 30 sanzioni al Codice della Strada per numerose infrazioni, e sono stati operati 5 fermi amministrativi di veicoli e controllati diversi esercizi commerciali.
Prosegue la costante attività di prevenzione della Questura di Ragusa su tutto il territorio provinciale per garantire la sicurezza dei cittadini.
La Polizia di Stato – Squadra Mobile e Commissariato di Comiso – ha eseguito la misura cautelare della custodia in carcere, emessa dal GIP del Tribunale di Ragusa su richiesta della Procura della Repubblica, a carico di BARRERA Salvatore nato a Comiso il 03.08.1981, BENENATI Mario nato a Vittoria il 19.02.1981 e VENTURA Angelo nato a Vittoria il 15.09.1984, tutti residenti a Vittoria, per i reati di tentata rapina aggravata.
Alle ore 15.30 del 6.9.2016 la Volante del Commissariato di P.S. di Comiso e personale in borghese della Squadra Mobile intervenivano presso la succursale della B.A.P.R. di Pedalino in quanto era appena stata tentata una rapina da due uomini armati di taglierino, entrambi con il volto travisato.
Dai primi accertamenti emergeva che i due erano poi fuggiti a bordo di un’auto condotta da un terzo soggetto.
I due rapinatori, una volta all’interno dell’Istituto bancario, in rapida successione ed impugnando, uno un taglierino e l’altro una lama, avevano minacciato gli impiegati senza però riuscire nell’intento di prelevare il denaro contenuto nelle casse a seguito della presenza di un temporizzatore, che permetteva l’apertura solo previa operazione bancaria.
L’auto veniva ripresa dalle telecamere cittadine ed alcune testimonianze erano utili per l’indicazione del modello e del colore.
Proprio la mattina della rapina, un Ufficiale di Polizia della Squadra Mobile aveva notato, mentre si recava a lavoro, un gruppo di pregiudicati vittoriesi a Ragusa presso l’officina di un pluripregiudicato. Dopo un’attenta osservazione, i pregiudicati, avendo riconosciuto il poliziotto si allontanavano. Il poliziotto, aveva comunque notato la macchina ivi parcheggiata, identica per colore e modello a quella utilizzata per commettere il delitto.
Da immediati accertamenti presso l’officina, si apprendeva che il proprietario della macchina, un dipendente dell’officina, fosse assente perché gli avevano rubato l’auto e stava presentando denuncia presso un ufficio di Polizia.
La strana coincidenza faceva convergere gli investigatori sul gruppo di criminali che quella mattina era stato visto proprio presso l’officina del denunciante.
Accompagnato presso gli uffici della Squadra Mobile di Ragusa, il proprietario dell’auto, dopo un prima reticenza, iniziava a fornire alcune informazioni, per altro prive di un senso logico.
Dopo le prime contraddizioni, veniva invitato a non continuare a riferire falsità e dichiarare quanto realmente accaduto.
Davanti all’evidenza dei fatti, il proprietario dell’auto ammetteva di averla prestata ai tre soggetti oggi arrestati, ma di non sapere nulla rispetto ai fatti reato commessi e che proprio loro, gli avevano suggerito di fare denuncia di furto del veicolo per dimostrare la sua estraneità.
Dopo ore di interrogatorio, reso edotto del reato di favoreggiamento personale, qualora non avesse collaborato con la Polizia di Stato, il giovane riferiva a chi avesse prestato l’auto.
Mentre Ventura e Barrera, immediatamente ricercati dagli uomini della Squadra Mobile e del Commissariato di Comiso, ammettevano le proprie responsabilità, rilasciando una piena confessione, Benenati asseriva di non aver commesso nulla e di non essere mai stato presente insieme agli altri complici.
Le ricerche di impianti di video sorveglianza permettevano di riscostruire ogni dettaglio dei propositi criminali dei 3 complici.
Benenati, pluripregiudicato ed in atto sottoposto alla misura della Sorveglianza Speciale proprio per la sua pericolosità criminale, insieme a Ventura Anglo, anch’egli pregiudicato per rapine e Barrera, altro soggetto pericoloso per il suo trascorso criminale, decidevano di prendere l’auto del ragazzo che lavorava presso l’officina meccanica e andare a consumare una rapina ai danni di un ufficio postale di Ragusa. Il proposito criminoso non aveva seguito perché quella mattina c’era troppa gente all’interno della posta, pertanto decidevano di spostarsi presso la sede della Banca Agricola di Pedalino, in quanto solitamente poco frequentata.
Prima di perpetrare la tentata rapina, Benenati, che si dichiarava estrano ai fatti, veniva immortalato dalle immagini di video sorveglianza mentre comprava un paio di occhiali da sole da donna ed una parrucca, tutti poi rinvenuti e sequestrati in quanto utilizzati per compiere il reato.
Considerate le attività d’indagine espletate e la piena confessione di Barrera e Ventura, gli investigatori redigevano un’articolata informativa di reato che veniva valutata positivamente, tanto che la Procura della Repubblica di Ragusa chiedeva ed otteneva la misura cautelare a carico dei tre. Il GIP, considerata la confessione dei due, applicava la misura degli arresti domiciliari, mentre per Benenati la custodia in carcere.
La Polizia di Stato, nell’eseguire la misura cautelare, catturava subito Barrera e notificava a Ventura il provvedimento presso il carcere (ove era detenuto per altra causa), difatti appena terminerà la pena, dovrà andare ai domiciliari in regime di custodia cautelare.
Benenati, subito dopo la rapina, si era reso irreperibile in quanto conscio della sua responsabilità e della piena confessione dei correi. Il pericoloso criminale, con il probabile aiuto della famiglia, cambiava dimora continuamente, eludendo le ricerche.
Gli uomini della Squadra Mobile e del Commissariato di Comiso, con la collaborazione del Commissariato di Vittoria, hanno adottato la strategia di creare attorno al latitante terra bruciata, così da far perdere ogni appoggio della famiglia. Dopo diverse perquisizioni a tutte le ore del giorno e della notte a casa dei familiari a Vittoria, il ricercato si costituiva e veniva associato presso il carcere di Ragusa. Il criminale era anche destinatario di un ordine di esecuzione pena per reati commessi e per i quali era stato condannato. Il provvedimento in carico al Commissariato di Vittoria veniva eseguito pertanto il soggetto si trova ristretto per due motivi.
“La Polizia di Stato, dopo indagini rapidissime e grazie allo spirito di abnegazione dei suoi uomini, anche liberi dal servizio, è riuscita ad assicurare alla giustizia tre pericolosi criminali”.
“L’attività di indagine svolta in esecuzione dell’ordinanza del gip non ha consentito di acquisire quegli auspicati riscontri individualizzanti in termini di certezza probatoria sufficiente a esercitare proficuamente l’azione penale e, successivamente, a resistere all’eventuale vaglio dibattimentale che si intendesse instaurare nei confronti dei tre indagati”. Con queste motivazioni la Procura di Palermo ha chiesto una nuova archiviazione delle indagini sul delitto che il 5 agosto portò alla morte il poliziotto Nino Agostino e la moglie, Ida Castelluccio (che era incinta). Nel fascicolo d’indagine, condotta dal pm Vittorio Teresi e dai sostituti Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, erano inseriti Nino Madonia, Gaetano Scotto e l’ex poliziotto Giovanni Aiello, soprannominato “faccia da mostro”. La richiesta di archiviazione segue di pochi giorni l’istanza depositata alla Procura generale dal legale della famiglia Agostino, Fabio Repici, per una nuova avocazione dell’inchiesta ma, è scritto nel documento, non chiude definitivamente le piste investigative sul delitto in quanto, scrivono i pm, “in ordine al tema delicatissimo del contesto e del possibile movente che può aver determinato l’omicidio di Nino Agostino deve sottolinearsi che questo ufficio ha tuttora in corso una complessa e articolata attività di indagine, in corso di svolgimento nell’ambito di un autonomo procedimento, pendente nella fase delle indagini preliminari”. Ciò significa che vi sono ulteriori spiragli per arrivare ad una verità che manca da oltre 27 anni?
Nella richiesta di archiviazione vengono tracciati alcuni binari d’indagine, in particolare sul ruolo avuto da Giovanni Aiello. Per i pm c’è la prova che questi sia “la persona con il volto deturpato che, reiteratamente nel corso degli anni, aveva personalmente partecipato a vere e proprie riunioni mafiose, tenutesi nel luogo – tanto noto quanto strategico – di Fondo Pipitone, nella disponibilità ‘storica’ e diretta della famiglia Galatolo”. Non solo, tenuto conto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e delle individuazioni personali e fotografiche svolte dai vari Vito Lo Forte, Vito Galatolo, Giovanna Galatolo, Consolato Villani e Giuseppe Di Giacomo, anche in assenza di “dettagli sui contenuti di tali riunioni, deve anche ritenersi che il calibro e il carisma mafioso dei soggetti che – secondo i predetti collaboratori – vi avrebbero partecipato (tutti i fratelli Madonia; molteplici esponenti della famiglia Galatolo e della famiglia Graziano; esponenti della famiglia Ganci; etc.) costituisca prova insuperabile del contenuto prettamente illecito, e strettamente ‘mafioso’, dei temi affrontati nelle stesse riunioni, sì da poter ritenere Aiello soggetto certamente in contatto qualificato con l’organizzazione mafiosa Cosa nostra (se non, addirittura, a questa intraneo)”. Per Aiello, dunque, viene fatta richiesta di archiviazione dall’accusa di concorso in associazione mafiosa per effetto della prescrizione in quanto proprio i pentiti hanno “limitato temporalmente la loro conoscenza (circa la partecipazione di Aiello alle riunioni) al più alla fine degli anni Ottanta”.
L’apporto dei pentiti
Per quanto riguarda gli altri due indagati, indicati dai pentiti come autori del delitto, i pm richiamano alla precedente richiesta di archiviazione.
Richiesta che venne respinta dal Gip Maria Pino dando indicazione precise sugli approfondimenti da eseguire in particolare rispetto a quanto dichiarato da Vito Lo Fortee Vito Galatolo. Per quanto riguarda Lo Forte, che aveva indicato Scotto e Madonia come esecutori materiali dell’omicidio del poliziotto, a bordo di una motocicletta, e Aiello come soggetto intervenuto ad agevolare la loro fuga, nel nuovo documento della Procura, si evidenzia come la fonte delle sue conoscenze “de relato” sia stata individuata dal collaboratore “in soggetti di volta in volta diversi”. Secondo i pm, dunque, gli approfondimenti svolti non avrebbero consentito “di acquisire quegli auspicati riscontri individualizzanti in termini di certezza probatoria sufficiente ad esercitare proficuamente l’azione penale e, successivamente, a resistere all’eventuale vaglio dibattimentale che si intendesse instaurare nei confronti dei tre indagati”.
Per quanto concerne le dichiarazioni dell’ex boss dell’Acquasanta, Vito Galatolo, i pm ricordano che nel corso dell’incidente probatorio del gennaio 2016 è vero che ha confermato di avere avuto modo di parlare del tema dell’omicidio Agostino con Lo Forte, ma ha anche riferito sull’omicidio “soltanto ricordi tendenzialmente generici”, e che sulle modalità di esecuzione dell’omicidio si è limitato a dichiarare di “non potere escludere” di aver saputo che Gaetano Scotto fosse “immischiato” in questa vicenda, “ed ancora di aver sentito che Nino Madonia fosse considerato ‘sapitore’ in ordine all’omicidio Agostino”.
Il riconoscimento di “Faccia da mostro”
Altro punto delicato, affrontato nella richiesta di archiviazione, è il riconoscimento di “Faccia da mostro” effettuato nel febbraio 2016 da Vincenzo Agostino. Senza esitazione il papà del poliziotto disse che Aiello era l’uomo che un mese prima del delitto gli aveva chiesto notizie del figlio. I pm scrivono che “quanto alla posizione di Aiello, ha avuto certamente un ruolo significativo l’attività di individuazione personale svolta”. Tuttavia “molteplici circostanze impediscono di attribuire a tale atto (il cui esito è stato comunque positivo) quella piena valenza probatoria che sarebbe indispensabile”. Le controindicazioni indicate sono “la decorrenza di un lunghissimo lasso temporale (oltre venticinque anni) dall’epoca dei fatti rispetto all’avvenuta individuazione personale”; la “recente ed ampia divulgazione delle immagini dell’attuale volto di Giovanni Aiello nei mesi precedenti alla individuazione, e ciò sia in ambito giornalistico e mediatico, sia in contesti processuali, dinnanzi a diverse Autorità giudiziarie, nel corso dei quali lo stesso Vincenzo Agostino è stato chiamato a partecipare”; e il dato per cui, nel corso degli anni, sempre il padre dell’agente ha riconosciuto anche altre persone.
Dopo la notifica della richiesta di archiviazione il legale della famiglia Agostino, Fabio Repici, ha già annunciato la volontà di opporsi alla stessa (“Siamo convinti che ci siano elementi per celebrare il processo pertanto ci opporremo alla richiesta di archiviazione”) e si è detto stupito dell’azione svolta dal Procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi: “Rimango stupito della posizione del Procuratore che come primo atto di questo fascicolo firmò il reclamo contro l’avocazione disposta dalla Procura generale. Mi sembrava evidente l’intenzione della Procura generale di esercitare l’azione penale. Il regresso del fascicolo in Procura, chiesto ed ottenuto dal Procuratore Lo Voi, ha invece portato alla odierna richiesta di archiviazione, anch’essa sottoscritta e condivisa dal Procuratore capo”.
In attesa di conoscere la data in cui il Gip deciderà se accogliere o meno la richiesta della Procura non si può che prendere atto dell’esistenza di un ulteriore fascicolo di indagine sull’omicidio. Ciò significa che il caso Agostino è tutt’altro che chiuso. Del resto, in questi anni, sono stati ottenuti importanti elementi di certezza, a cominciare dall’esecuzione del depistaggio avviato sin dalle prime fasi d’indagine del delitto. Un depistaggio che ha avuto come protagonisti soggetti interni alla Polizia. Basta leggere il decreto di archiviazione del Gip Maria Pino nei confronti di Guido Paolilli. In quel decreto veniva infatti dimostrato come “le risultanze istruttorie dimostrano come l’indagato (Guido Paolilli, ndr) abbia contribuito alla negativa alterazione del contesto nel quale erano in corso di svolgimento le investigazioni inerenti all’omicidio di Antonino Agostino e Ida Castelluccio”. Quindi venivano evidenziate le “plurime e gravi anomalie riscontrate in ordine ai tempi, alle modalità ed agli esiti delle perquisizioni effettuate dagli investigatori presso l’abitazione di Altofonte dell’agente Agostino”. La speranza, ancora una volta, è che prima o poi si possa arrivare ad un processo su questo ennesimo “mistero” italiano. Solo così si potrà rispondere all’accorata e legittima richiesta di verità e giustizia che la famiglia Agostino effettua da oltre 27 anni. In assenza di ciò a prevalere sarebbe, ancora una volta, quell’amarissimo sapore di sconfitta che troppo spesso si “mastica” nel nostro Paese.
C’è ancora oggi chi, finendo per fare il gioco dei mafiosi, afferma che in provincia di Enna la “mafia non esiste”.
Non solo la mafia nell’ennese esiste, ma fa affari con tutti: dall’economia a cavallo fra legale ed illegale, fino alla politica, non disdegnando estorsioni ed usura, rifiuti e infiltrazioni in Comuni (con la “C” maiuscola, cioè intesi come amministrazioni comunali). E ha, come vedremo, influenzato persino gli appalti per l’Expò.
Si può affermare che la provincia di Enna abbia una mafia antica ma non arretrata e sia divisa fra nuovi e vecchi boss (a tal proposito va ricordata la famosa strage di Catenanuova del luglio 2008 ad opera dei mafiosi catanesi del clan Cappello), costituendo da un lato la retroguardia strategica per l’organizzazione di Cosa Nostra, sia nissena che catanese, dall’altro garantendo il controllo del territorio ed una persistente dinamica riorganizzazione dei propri assetti
I clan catanesi della “Famiglia Cappello” – nella zona di Catenanuova — e della “Famiglia Santapaola” – nella zona di Troina – hanno stretto alleanze con malavitosi locali, imponendo il loro potere.
L’ORGANIZZAZIONE
“Cosa Nostra” nella provincia di Enna è articolata, secondo la tradizionale struttura della famiglia, in “cinque famiglie” che operano nell’intero territorio fra Enna, Barrafranca, Pietraperzia, Villarosa e Calascibetta.
L’ultimo riconosciuto reggente provinciale di Cosa Nostra è l’anziano Salvatore Seminara, pastore di Mirabella Imbaccari (CT), già arrestato nell’ambito dell’Operazione “OLD ONE” in data 14 luglio 2009 ed attualmente detenuto (insieme a lui vennero tratti in arresti il suo braccio destro Gaetano Drago, Isidoro Di Pino e Antonino Spitaleri, tutti di Aidone).
A Salvatore Seminara, grazie all’assoluta fedeltà dimostrata negli anni (e quindi della ponderatezza delle decisioni che sarebbe stato chiamato ad assumere nel ruolo assegnatogli) è stata affidata, su incarico di Francesco “Cicciu” La Rocca, capo storico della famiglia di Caltagirone legato ai santapaoliani e da Gaetano Leonardo (detto Tano u Liuni), ultimo capo della famiglia di Enna, la reggenza mafiosa, oltre che del calatino, anche della provincia di Enna.
Salvatore Seminara avrebbe stretto un patto associativo per la riorganizzazione territoriale del clan nel versante centro e sud—orientale dell’ennese, con Sebastiano Gurgone e Giovanni Monachino (già condannati per associazione mafiosa).
In ogni comune, quindi non solo nelle località delle “cinque famiglie”, è presente una sorta di reggente, anche se non elevato al rango di “uomo d’onore”.
Infine, prima di entrare nello specifico, va detto che personaggi della famiglia mafiosa catanese dei “Cappello”, da sempre interessata al controllo della provincia ennese, si sono insediati sul territorio al confine (tra i Comuni di Catenanuova, Troina, Cerami e Regalbuto).
LE “CINQUE FAMIGLIE”
Enna:
A Enna in questo momento sono tre i soggetti criminali più autorevoli in libertà, Salvatore La Delia, Michele Cammarata e Santo Curatolo.
I tre rappresentano gli interessi dello storico capo della famiglia ennese, Gaetano Leonardo (detto Tano u Liuni) e di Giancarlo Amaradio (entrambi nelle patrie galere).
Da sottolineare, inoltre, la conclusione del processo a carico di Salvatore Gesualdo, Agente di Polizia Penitenziaria a La Spezia, arrestato con l’accusa di aver rivestito il ruolo di reggente, successivamente all’arresto di Giancarlo Amaradio.
Barrafranca:
A Barrafranca rimangono due le figure più importanti: da un lato quella dell’avvocato Raffaele Bevilacqua (attualmente detenuto e condannato all’ergastolo) e dall’altro Salvatore Privitelli, sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno.
Pietraperzia:
Vincenzo Monachino
A Pietraperzia ruolo di comando è esercitato dai fratelli Giovanni e Vincenzo Monachino (Giovanni scarcerato da poco).
Giovanni Monachino, uscendo dal carcere, si è immediatamente affiancato all’anziano “uomo d’onore” di Cosa Nostra, Filippo La Rocca.
Sulla famiglia di Pietraperzia va sottolineato come essa abbia una “decina” operante nel milanese, precisamente a Pioltello, retta da Calogero Farruggia.
Proprio questa famiglia avrebbe avuto un ruolo importante nei lavori della esposizione universale, l’Expò.
Il responsabile sarebbe stato Liborio Pace, organico alla famiglia mafiosa di Pietraperzia e arrestato il 30 giugno 2016 dalla GdF di Milano nell’operazione legata della Dda del capoluogo lombardo.
Liborio Pace, va ricordato, è sposato con Rosanna Anzallo, figlia del defunto Giuseppe, già a capo della famiglia mafiosa di Pietraperzia.
Inoltre è cognato di uno dei due fratelli Monachino, Vincenzo, sposato con l’altra figlia di Giuseppe Anzallo, Concetta.
Dalla Dda di Milano è stato riscontrato un “fiume di contanti in nero” che dalla Lombardia giungeva in Sicilia, fino a raggiungere la “famiglia” di Pietraperzia.
I militari del GICO della Guardia di Finanza, inoltre, hanno effettuato il sequestro preventivo di beni per oltre 5 milioni di euro.
Villarosa
A Villarosa comanda la famiglia Nicosia, composta dai fratelli Maurizio Giuseppe, Damiano e Michele, oltre a Giuseppe Saguto.
Calascibetta
A Calascibetta, è stata ricostruita la storica famiglia già capeggiata dall’anziano Calogero La Placa, con nuovi consociati sui quali le forze dell’Ordine stanno cercando di fare chiarezza e che ne avrebbero assunto il ruolo di referenti.
LE ALTRE CITTA’
Come detto in precedenza, pressoché ogni città dell’ennese ha dei referenti e/o dei reggenti.
Ad Agira, a comandare sono gli Scaminaci, Giovanni ed Antonio (da poco scarcerati), oltre a Giovanni Galletta.
Piazza Armerina, ha nei Balsamo (padre e figlio) Pietro e Cono, i responsabili, ai quali si sarebbero affiancati i nipoti Gaetano Davide e Giuseppe, oltre a Benedetto (detto Benito) Lo Presti ed a Riccardo Abiati.
Ad Aidone, Isidoro Di Pino, Antonino Spitaleri e Gaetano Drago (“posato” del clan).
A Valguarnera, sono referenti Sebastiano Gurgone (attualemnte in galera), Angelo Francese, Giuseppe Castoro, Domenico Ruisi, Cristofero Scibona, Gaetano Giovanni D’Angelo (in galera) e Gabriele Giacomo Stanzù (recentemente arrestato per l’omicidio di presunta matrice mafiosa da egli ordito nel 1998 nei confronti di Franco Saffila, storicamente collegato alla famiglia di Mistretta ed a quella gelese degli Emanuello).
A Leonforte, ci sarebbe un gruppo di comando voluto da Salvatore Seminara e costituito da Giovanni Fiorenza e dal figlio Saimon, da Mario Armenio, da Giuseppe Viviano e da Angelo Monsu.
A Centuripe, i referenti sono Gianni e Santo Galati Massaro.
A Regalbuto, i referenti sono Antonio e Sebastiano Arcodia Pignarello, oltre a Silvestro Schillaci e Vito Sravaglieri.
Infine, per quanto riguarda Catenanuova, sembra che l’equidistanza geografica da Enna e Catania le dia un ruolo di “camera di compensazione” tra le due realtà criminali.
Salvatore Leonardi
In particolare, fino all’anno 2007, nel territorio del Comune di Catenanuova era presente un “gruppo” di soggetti, ritualmente affiliati a “Cosa Nostra” facenti capo a Salvatore Leonardi, a sua volta strettamente legato e fedele alla “famiglia” storica di Enna capeggiata dal noto boss Gaetano Leonardo.
Così il ruolo di referente mafioso su Catenanuova venne assunto prima da Prospero Riccombeni, poi dai fratelli Salvatore e Maurizio Prestifilippo Cirimbolo che, avversari di Salvatore Leonardi, ricercarono alleanze con altri clan della provincia di Catania.
I due furono oggetto di un agguato mafioso, noto come “la strage di Catenanuova”, nel quale perse la vita Salvatore Prestifilippo Cirimbolo e rimasero ferite gravemente altre quattro persone, fra cui l’altro fratello Maurizio.
L’omicidio portò al potere Filippo Passalacqua, ex militare dell’Esercito Italiano ed oggi collaboratore di Giustizia. Le dichiarazioni di Passalacqua stanno sconvolgendo non solo la città di Catenanuova, ma l’intero clan.
Passalacqua, infatti, era sposato e ha avuto un figlio con la figlia di Giuseppe Salvo (detto “Pippu u carruzzieri”) esponente di spicco del clan Cappello di Catania (condannato all’ergastolo e detenuto) e ha sfruttato nel tempo il pieno appoggio “militare” offerto dal cognato Giovanni Piero Salvo.
E successivamente sarebbe stata proprio la donna, Giovanna Maria Salvo, a comandare su Catenanuova.
Siete ancora convinti che ad Enna la mafia non c’è?!
Prosegue l’attività di prevenzione e di repressione dei reati nel territorio della giurisdizione della Compagnia Carabinieri di Vittoria (RG), al fine di garantire la pubblica sicurezza in favore di tutti i cittadini che vi abitano.
Particolare attenzione è stata posta nel contrastare ogni tipologia di reato, specie quelli di natura predatoria che più da vicino colpiscono le persone: sono aumentati i servizi giornalieri, coprenti le 24 ore, anche nelle aree rurali.
In tale ottica, l’intenso lavoro, in stretta collaborazione con la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa, ha consentito, nella giornata di ieri, in occasione di mirata attività di controllo del territorio, sia di natura preventiva che repressiva, di trarre in arresto il 35enne Saafi Alì.
Il provvedimento a suo carico, finalizzato all’applicazione della misura limitativa della libertà personale, impone all’uomo di scontare la pena residua di due anni di reclusione, dal momento che è stato giudicato colpevole di ricettazione, commesso a Scoglitti e in territorio ipparino nel febbraio 2012: al termine delle formalità di rito espletate presso la caserma di via Plebiscito, l’uomo è stato associato alla Casa Circondariale di Ragusa, a disposizione del Sostituto Procuratore presso il Tribunale ibleo, dott.ssa Valentina Botti, per i provvedimenti di competenza.